L’attenzione che, in tema di sviluppo endogeno, è prestata in misura crescente alla cultura, per l’influenza che le si attribuisce nel promuovere (o nell’ostacolare) l’innovazione, induce ad una rinnovata riflessione sul Cultural Planning. Questo strumento di urban policy, messo a punto nei primi anni settanta sulla scia dei fermenti socio-culturali del decennio precedente e delle tensioni generate dalla crisi del fordismo, si propone di intervenire sul tessuto urbano nell’intento di valorizzare il pluralismo culturale, sullo sfondo delle più ampie finalità di sviluppo economico e coesione sociale. La valutazione sulla bontà di tale disegno e sull’efficacia delle esperienze compiute è peraltro assai controversa, soprattutto per quanto riguarda l’ipotesi cruciale assunta dal Cultural Planning secondo cui la cultura costituisce il terreno di elezione per conseguire la coesione se non l’integrazione sociale, con la conseguenza che esso si trova a scontare una non trascurabile crisi di legittimazione. Il presente lavoro si propone di verificare se, con l’ingresso nell’epoca conoscenza, esistano i presupposti per una rivalutazione del Cultural Planning, alla luce del fatto che il processo sociale dell’elaborazione culturale (a) costituisce una componente centrale dell’attuale modello di sviluppo, quale fonte primaria dell’innovazione, (b) presenta rendimenti crescenti e (c) include necessariamente tutte le componenti sociali. I risultati, supportati da una ricerca empirica condotta sul caso italiano, dimostrano che tale ipotesi è praticabile, purché sia operata la distinzione tra le finalità di ordine sociale (integrazione) e quelle di ordine economico (sviluppo) inizialmente assunte in maniera congiunta dal Cultural Planning.

Il Cultural Planning nell’era della conoscenza

CUSINATO, AUGUSTO
2009-01-01

Abstract

L’attenzione che, in tema di sviluppo endogeno, è prestata in misura crescente alla cultura, per l’influenza che le si attribuisce nel promuovere (o nell’ostacolare) l’innovazione, induce ad una rinnovata riflessione sul Cultural Planning. Questo strumento di urban policy, messo a punto nei primi anni settanta sulla scia dei fermenti socio-culturali del decennio precedente e delle tensioni generate dalla crisi del fordismo, si propone di intervenire sul tessuto urbano nell’intento di valorizzare il pluralismo culturale, sullo sfondo delle più ampie finalità di sviluppo economico e coesione sociale. La valutazione sulla bontà di tale disegno e sull’efficacia delle esperienze compiute è peraltro assai controversa, soprattutto per quanto riguarda l’ipotesi cruciale assunta dal Cultural Planning secondo cui la cultura costituisce il terreno di elezione per conseguire la coesione se non l’integrazione sociale, con la conseguenza che esso si trova a scontare una non trascurabile crisi di legittimazione. Il presente lavoro si propone di verificare se, con l’ingresso nell’epoca conoscenza, esistano i presupposti per una rivalutazione del Cultural Planning, alla luce del fatto che il processo sociale dell’elaborazione culturale (a) costituisce una componente centrale dell’attuale modello di sviluppo, quale fonte primaria dell’innovazione, (b) presenta rendimenti crescenti e (c) include necessariamente tutte le componenti sociali. I risultati, supportati da una ricerca empirica condotta sul caso italiano, dimostrano che tale ipotesi è praticabile, purché sia operata la distinzione tra le finalità di ordine sociale (integrazione) e quelle di ordine economico (sviluppo) inizialmente assunte in maniera congiunta dal Cultural Planning.
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