Il saggio illustra le relazioni che si stabiliscono tra città, welfare e cultura del planning, in Italia fra la fine dell’ottocento e l’inizio del ventunesimo. In particolare tenta di delineare il maturare di una società assistita in relazione ai diversi progetti societari che si succedono nella storia della nazione nel periodo considerato, evidenziando ruolo e fortune della città e delle progettualità delle società locali in tale processo. Il saggio avanza l’ipotesi di un obbligato ritorno delle società locali al trattamento dei temi del welfare (ovvero della giustizia e dei diritti di cittadinanza) a fronte dell’erosione in atto dei suoi fondamenti universalistici, in ragione della decostruzione da tempo in corso del patto social-fordista e del ruolo di regolazione del suo storico perno, lo stato-nazione. Il saggio colloca, quindi il tema del welfare sullo sfondo dell’attuale problematizzazione del rapporto istituzioni-società; ovvero della crisi della politica (locale e nazionale) di rappresentare e di capacità di rappresentazione della dimensione plurale che connota la società attuale; sottolineando peraltro, come irrinunciabile riferimento di una nuova progettualità societaria, la città: come luogo di “resistenza” e di sperimentazione di nuove forme di democrazia, di connessione fra individui e discorso pubblico, di ricezione della volontà deliberativa dei cittadini. In estrema sintesi, la città come palestra di una potenziale ricostituzione di una diffusa sensibilità e cultura della democrazia. Il saggio rileva altresì la necessità per le culture del progetto e del planning (che storicamente hanno assecondato e fatto proprio il trattamento “pubblico” della questione urbana) di assumere la prospettiva “collaborativa” (bottom-up, anti-tecnocratica, dialogica, esplorativa) di gestione dell’interesse della collettività, predisponendosi a ripensare teorie, strumenti, forme di conoscenza del proprio paradigma disciplinare.

Welfare, città, cultura del piano

ERNESTI, GIULIO
2012-01-01

Abstract

Il saggio illustra le relazioni che si stabiliscono tra città, welfare e cultura del planning, in Italia fra la fine dell’ottocento e l’inizio del ventunesimo. In particolare tenta di delineare il maturare di una società assistita in relazione ai diversi progetti societari che si succedono nella storia della nazione nel periodo considerato, evidenziando ruolo e fortune della città e delle progettualità delle società locali in tale processo. Il saggio avanza l’ipotesi di un obbligato ritorno delle società locali al trattamento dei temi del welfare (ovvero della giustizia e dei diritti di cittadinanza) a fronte dell’erosione in atto dei suoi fondamenti universalistici, in ragione della decostruzione da tempo in corso del patto social-fordista e del ruolo di regolazione del suo storico perno, lo stato-nazione. Il saggio colloca, quindi il tema del welfare sullo sfondo dell’attuale problematizzazione del rapporto istituzioni-società; ovvero della crisi della politica (locale e nazionale) di rappresentare e di capacità di rappresentazione della dimensione plurale che connota la società attuale; sottolineando peraltro, come irrinunciabile riferimento di una nuova progettualità societaria, la città: come luogo di “resistenza” e di sperimentazione di nuove forme di democrazia, di connessione fra individui e discorso pubblico, di ricezione della volontà deliberativa dei cittadini. In estrema sintesi, la città come palestra di una potenziale ricostituzione di una diffusa sensibilità e cultura della democrazia. Il saggio rileva altresì la necessità per le culture del progetto e del planning (che storicamente hanno assecondato e fatto proprio il trattamento “pubblico” della questione urbana) di assumere la prospettiva “collaborativa” (bottom-up, anti-tecnocratica, dialogica, esplorativa) di gestione dell’interesse della collettività, predisponendosi a ripensare teorie, strumenti, forme di conoscenza del proprio paradigma disciplinare.
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