“Zum Bild, das Wort” è un motto suggestivo che oggi rischia di apparire affatto inattuale. Nell’era dell’immagine anestetizzante, l’adagio del grande storico dell’arte tedesco – Aby Warburg– sembra non trovare più un’adeguata corrispondenza nel vortice totalizzante delle immagini quotidiane – ma non sono meno quelle di derivazione artistica – nel quale siamo tutti immersi. Le immagini prodotte nel corso dell’ultimo secolo e quelle che si producono oggi continuano a parlare? Continuano a mostrare quella profondità di senso, quella molteplicità di contemporanei significati, impliciti ed espliciti, che le mitiche tavole del Mnemosyne di Aby Warburg cercavano di raccontare e decrittare, lasciando comunque aperta la ricerca alle future generazioni? Quella traccia genetica della cultura occidentale che vede l’occhio dominare sugli altri sensi per cui il pensiero occidentale sarebbe essenzialmente un pensiero ottico, davvero non subisce mutazioni per l’ipertrofia dei media, per la banalizzazione estetica a cui soggiace tanta video-arte, per l’irreversibile logorio dello sguardo ottico-visivo? Ciò che questo testo prova a verificare è la tenuta provocatoria e sovversiva del messaggio warburghiano, a partire da brevi semplici interrogativi e da alcuni esempi delle arti visive, dell’architettura, del teatro, della letteratura e della poesia contemporanee, posti a confronto tra loro.

L'occhio stanco : L’enigma delle immagini come testi e dei testi come immagini

De Maio, Fernanda
2017-01-01

Abstract

“Zum Bild, das Wort” è un motto suggestivo che oggi rischia di apparire affatto inattuale. Nell’era dell’immagine anestetizzante, l’adagio del grande storico dell’arte tedesco – Aby Warburg– sembra non trovare più un’adeguata corrispondenza nel vortice totalizzante delle immagini quotidiane – ma non sono meno quelle di derivazione artistica – nel quale siamo tutti immersi. Le immagini prodotte nel corso dell’ultimo secolo e quelle che si producono oggi continuano a parlare? Continuano a mostrare quella profondità di senso, quella molteplicità di contemporanei significati, impliciti ed espliciti, che le mitiche tavole del Mnemosyne di Aby Warburg cercavano di raccontare e decrittare, lasciando comunque aperta la ricerca alle future generazioni? Quella traccia genetica della cultura occidentale che vede l’occhio dominare sugli altri sensi per cui il pensiero occidentale sarebbe essenzialmente un pensiero ottico, davvero non subisce mutazioni per l’ipertrofia dei media, per la banalizzazione estetica a cui soggiace tanta video-arte, per l’irreversibile logorio dello sguardo ottico-visivo? Ciò che questo testo prova a verificare è la tenuta provocatoria e sovversiva del messaggio warburghiano, a partire da brevi semplici interrogativi e da alcuni esempi delle arti visive, dell’architettura, del teatro, della letteratura e della poesia contemporanee, posti a confronto tra loro.
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