Da quando, negli ultimi decenni, l’innovazione è (ri)considerata come il fattore principale del vantaggio competitivo a livello sia d’impresa che di sistema economico, una crescente attenzione è dedicata alla ricerca dei fattori e delle condizioni che ne favoriscono l’ideazione e l’effettiva applicazione. D’alto canto, le ampie differenze esistenti a livello spaziale (internazionale e nazionale) nella propensione all’innovazione portano ad ipotizzare l’esistenza di una diseguale distribuzione di quei fattori e di quelle condizioni, come pure delle corrispondenti opportunità di sviluppo. Ne deriva che la formulazione di modelli in grado di spiegare la geografia dell’innovazione costituisce un utile presupposto per intervenire efficacemente nelle politiche di sviluppo regionali. Tale formulazione richiede peraltro la disponibilità un quadro teorico di riferimento che sia in grado di assicurare la coerenza dei modelli interpretativi con la più generale riflessione in materia di formazione della conoscenza, da un lato, e di sviluppo economico, dall’altro. Le teorie dell’innovazione si propongono per adempiere questa funzione, ma così ampia è la diversità dei presupposti (soprattutto epistemologici) sui cui si fondano e dei meccanismi d’azione in esse previsti, che risulta difficile operare una scelta in termini di validità in assoluto delle diverse teorie, a meno di riconosce (o di assumere a priori) che quelle più recenti siano anche le più valide. Nel paper viene avanzata l’ipotesi che, per il modo in cui sono evolute nel tempo, le teorie dell’innovazione segnino sì un processo di avanzamento sotto il profilo concettuale, anche sulla scorta dei mutamenti intervenuti nel frattempo nelle teorie della conoscenza e dello sviluppo economico, ma riflettano altresì i mutamenti intervenuti nella struttura dei sistemi economici, i quali hanno segnato il passaggio, nell’arco di un secolo e mezzo, dal modello della piccola impresa concorrenziale a quello dell’impresa monopolistica di stampo fordista a quello, infine, delle costellazioni spaziali di piccole e medie imprese dotate di ampia flessibilità. Poiché i sistemi regionali portano le tracce del percorso di sviluppo seguito, all’interno di un medesimo paese può essere riscontrata l’esistenza di regioni diversamente caratterizzate dall’uno o dall’altro percorso per cui, se l’ipotesi appena formulata è corretta, esse dovrebbero presentare pattern di innovazione diversi, collegabili a differenti teorie dell’innovazione. In questo caso, la geografia dell’innovazione richiede il ricorso non a una teoria dell’innovazione, ma all’insieme stesso delle teorie sinora proposte. Questa ipotesi viene sottoposta a verifica empirica, mediante una ricerca sulla produzione di innovazione condotta in Italia a livello di Sistemi Locali del Lavoro. L’indagine dimostra, in primo luogo, che esistono pattern regionali di innovazione differenziati in corrispondenza di diversi percorsi regionali di sviluppo e, in secondo luogo, che tali pattern trovano spiegazione in famiglie di teorie dell’innovazione tra loro dissimili e in parte anche fondate su presupposti discordanti. Le implicazioni sono, sul piano analitico, che l’interpretazione della geografia dell’innovazione richiede il ricorso ad una pluralità di modelli esplicativi, per cui non è possibile affermare la bontà in assoluto di una teoria dell’innovazione rispetto alle altre; sul piano normativo, che le politiche intese a favorire la generazione di innovazione devono far leva su fattori e condizioni diversi, in corrispondenza delle specifiche caratteristiche dei percorsi di sviluppo regionali.

Modelli regionali di innovazione in Italia

CUSINATO, AUGUSTO;GIBIN, RENATO
2009-01-01

Abstract

Da quando, negli ultimi decenni, l’innovazione è (ri)considerata come il fattore principale del vantaggio competitivo a livello sia d’impresa che di sistema economico, una crescente attenzione è dedicata alla ricerca dei fattori e delle condizioni che ne favoriscono l’ideazione e l’effettiva applicazione. D’alto canto, le ampie differenze esistenti a livello spaziale (internazionale e nazionale) nella propensione all’innovazione portano ad ipotizzare l’esistenza di una diseguale distribuzione di quei fattori e di quelle condizioni, come pure delle corrispondenti opportunità di sviluppo. Ne deriva che la formulazione di modelli in grado di spiegare la geografia dell’innovazione costituisce un utile presupposto per intervenire efficacemente nelle politiche di sviluppo regionali. Tale formulazione richiede peraltro la disponibilità un quadro teorico di riferimento che sia in grado di assicurare la coerenza dei modelli interpretativi con la più generale riflessione in materia di formazione della conoscenza, da un lato, e di sviluppo economico, dall’altro. Le teorie dell’innovazione si propongono per adempiere questa funzione, ma così ampia è la diversità dei presupposti (soprattutto epistemologici) sui cui si fondano e dei meccanismi d’azione in esse previsti, che risulta difficile operare una scelta in termini di validità in assoluto delle diverse teorie, a meno di riconosce (o di assumere a priori) che quelle più recenti siano anche le più valide. Nel paper viene avanzata l’ipotesi che, per il modo in cui sono evolute nel tempo, le teorie dell’innovazione segnino sì un processo di avanzamento sotto il profilo concettuale, anche sulla scorta dei mutamenti intervenuti nel frattempo nelle teorie della conoscenza e dello sviluppo economico, ma riflettano altresì i mutamenti intervenuti nella struttura dei sistemi economici, i quali hanno segnato il passaggio, nell’arco di un secolo e mezzo, dal modello della piccola impresa concorrenziale a quello dell’impresa monopolistica di stampo fordista a quello, infine, delle costellazioni spaziali di piccole e medie imprese dotate di ampia flessibilità. Poiché i sistemi regionali portano le tracce del percorso di sviluppo seguito, all’interno di un medesimo paese può essere riscontrata l’esistenza di regioni diversamente caratterizzate dall’uno o dall’altro percorso per cui, se l’ipotesi appena formulata è corretta, esse dovrebbero presentare pattern di innovazione diversi, collegabili a differenti teorie dell’innovazione. In questo caso, la geografia dell’innovazione richiede il ricorso non a una teoria dell’innovazione, ma all’insieme stesso delle teorie sinora proposte. Questa ipotesi viene sottoposta a verifica empirica, mediante una ricerca sulla produzione di innovazione condotta in Italia a livello di Sistemi Locali del Lavoro. L’indagine dimostra, in primo luogo, che esistono pattern regionali di innovazione differenziati in corrispondenza di diversi percorsi regionali di sviluppo e, in secondo luogo, che tali pattern trovano spiegazione in famiglie di teorie dell’innovazione tra loro dissimili e in parte anche fondate su presupposti discordanti. Le implicazioni sono, sul piano analitico, che l’interpretazione della geografia dell’innovazione richiede il ricorso ad una pluralità di modelli esplicativi, per cui non è possibile affermare la bontà in assoluto di una teoria dell’innovazione rispetto alle altre; sul piano normativo, che le politiche intese a favorire la generazione di innovazione devono far leva su fattori e condizioni diversi, in corrispondenza delle specifiche caratteristiche dei percorsi di sviluppo regionali.
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