Occuparsi di colore e di luce in architettura significa affrontare un argomento di estrema complessità e vastità che sembra impossibile affrontare olisticamente. Parrebbe quindi necessario procedere scindendo il problema in più parti, ognuna di più agevole discernimento e interpretazione rispetto al tutto, finalizzando il discorso a dimostrare un teorema già anticipato in altre sedi. Si tratta del fatto che, come è avvenuto nella storia delle architetture, vi è stato un continuo e ininterrotto processo di riduzione della fisicità dei manufatti, della loro de-materializzazione in favore dell’aumento, si potrebbe dire esponenziale, degli aspetti “immateriali”. Nell’ambito delle architetture si è passati da costruzioni che avevano come obiettivo la durata eterna, perché avrebbero voluto celebrare qualcosa di assimilabile all’eterno, a quelle attuali il cui obiettivo sembra essere divenuto l’effimero, un perdurare quasi istantaneo, l’eliminazione della materia, perché sono scomparse tutte le motivazioni da celebrare, sostituite da qualcosa che ha notevoli affinità con il solo pensiero. Il colore, in tutto questo processo riduttivo, ha avuto una parte per nulla trascurabile. Essendo intimamente affratellato ai substrati su cui è depositato, su cui appare, che rende palesi o che modifica, ha svolto la sua molteplice funzione: protettiva, igienica, curativa, vitale, espressiva, comunicativa, rappresentativa, religiosa, distintiva, imitativa, falsificatrice, condizionante, e così via. Il colore si è adeguato, di volta in volta, ai molteplici cambiamenti delle società, seguendo e a volte inducendo comportamenti e conseguenze che hanno agito nell’evoluzione sociale, culturale e materiale del paesaggio antropizzato.

Verso l’immaterialità cromatica delle architetture

ZENNARO, PIETRO
2010-01-01

Abstract

Occuparsi di colore e di luce in architettura significa affrontare un argomento di estrema complessità e vastità che sembra impossibile affrontare olisticamente. Parrebbe quindi necessario procedere scindendo il problema in più parti, ognuna di più agevole discernimento e interpretazione rispetto al tutto, finalizzando il discorso a dimostrare un teorema già anticipato in altre sedi. Si tratta del fatto che, come è avvenuto nella storia delle architetture, vi è stato un continuo e ininterrotto processo di riduzione della fisicità dei manufatti, della loro de-materializzazione in favore dell’aumento, si potrebbe dire esponenziale, degli aspetti “immateriali”. Nell’ambito delle architetture si è passati da costruzioni che avevano come obiettivo la durata eterna, perché avrebbero voluto celebrare qualcosa di assimilabile all’eterno, a quelle attuali il cui obiettivo sembra essere divenuto l’effimero, un perdurare quasi istantaneo, l’eliminazione della materia, perché sono scomparse tutte le motivazioni da celebrare, sostituite da qualcosa che ha notevoli affinità con il solo pensiero. Il colore, in tutto questo processo riduttivo, ha avuto una parte per nulla trascurabile. Essendo intimamente affratellato ai substrati su cui è depositato, su cui appare, che rende palesi o che modifica, ha svolto la sua molteplice funzione: protettiva, igienica, curativa, vitale, espressiva, comunicativa, rappresentativa, religiosa, distintiva, imitativa, falsificatrice, condizionante, e così via. Il colore si è adeguato, di volta in volta, ai molteplici cambiamenti delle società, seguendo e a volte inducendo comportamenti e conseguenze che hanno agito nell’evoluzione sociale, culturale e materiale del paesaggio antropizzato.
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