Nessun progettista sfugge al proprio destino: possiamo, quando ci accingiamo ad affrontare la solitudine del foglio bianco, quando proviamo ad imbastire una qualche strategia iniziale per avviare un nuovo progetto, possiamo propiziare le mosse iniziali con ordinate analisi, con perlustrazioni rigorose e puntuali dell’area studio, con interpretazioni puntigliose del programma funzionale; possiamo elencare i complessi sistemi di vincolo che sempre limitano (per fortuna!) ogni creatività. Quello che proprio non possiamo evitare è lo slancio irrazionale che ci spinge – più o meno consapevolmente – ad inventare (da invenio, trovo) un qualche dispositivo che metta in moto la fantasia. Stiamo affermando che il progetto è (deve esserlo: verrebbe meno ogni statuto scientifico che lo riguarda se ammettessimo che così non fosse) una pratica razionale. Una sequenza di azioni logiche, di “ragionamenti” che però partono da uno spunto, da un nucleo irriducibile: un grumo emotivo, una forte suggestione, un pre-testo. I workshop hanno una natura specifica che costringe in un arco temporale assai ridotto l’intero processo progettuale e, nel nostro caso, costituiscono una esperienza didattico-pedagogica che ha una propria compiutezza. Si differenziano dalle extempora che costituiscono invece un puro esercizio di improvvisazione, basato su conoscenze già acquisite, in quanto devono rappresentare invece una esperienza di conoscenza, un percorso formativo. Il lavoro che è stato svolto nel corso delle tre settimane disponibili, è consistito nel proporre agli studenti, impegnati in quattro diversi esercizi progettuali, una modalità di approccio basata su di un aspetto della Composizione: la esplorazione delle pratiche combinatorie. Concentrare gli sforzi conoscitivi sul potenziale formale di un morfema iniziale, dato inizialmente dalla docenza, è stato l’obiettivo prefissoci. Nel costruire i diagrammi, le matrici, le memnoteche destinati a contenere le famiglie di permutazioni di volta in volta individuate, è apparso un elemento inizialmente non contemplato: il desiderio di rendere queste elaborazioni non solo chiare ed evidenti nella loro processualità, ma di attribuire loro una qualche estetizzazione. Un valore aggiunto che non costituiva un obiettivo, ma che si è rivelato un fattore decisivo: anche nella apparente (apparente, ma non è stata intesa, fortunatamente, così dagli studenti) strumentalità dell’esercizio, nessuno dei gruppi ha rinunciato alla propria creatività. Una creatività disciplinata, diremmo quasi vigilata dal rigido limite imposto, ma ben presente nell’immaginario di ogni studente. E per fortuna.

Combinazioni e fantasie: appuntamenti al buio

CARNEVALE, GIANCARLO;GIANI, ESTHER
2012-01-01

Abstract

Nessun progettista sfugge al proprio destino: possiamo, quando ci accingiamo ad affrontare la solitudine del foglio bianco, quando proviamo ad imbastire una qualche strategia iniziale per avviare un nuovo progetto, possiamo propiziare le mosse iniziali con ordinate analisi, con perlustrazioni rigorose e puntuali dell’area studio, con interpretazioni puntigliose del programma funzionale; possiamo elencare i complessi sistemi di vincolo che sempre limitano (per fortuna!) ogni creatività. Quello che proprio non possiamo evitare è lo slancio irrazionale che ci spinge – più o meno consapevolmente – ad inventare (da invenio, trovo) un qualche dispositivo che metta in moto la fantasia. Stiamo affermando che il progetto è (deve esserlo: verrebbe meno ogni statuto scientifico che lo riguarda se ammettessimo che così non fosse) una pratica razionale. Una sequenza di azioni logiche, di “ragionamenti” che però partono da uno spunto, da un nucleo irriducibile: un grumo emotivo, una forte suggestione, un pre-testo. I workshop hanno una natura specifica che costringe in un arco temporale assai ridotto l’intero processo progettuale e, nel nostro caso, costituiscono una esperienza didattico-pedagogica che ha una propria compiutezza. Si differenziano dalle extempora che costituiscono invece un puro esercizio di improvvisazione, basato su conoscenze già acquisite, in quanto devono rappresentare invece una esperienza di conoscenza, un percorso formativo. Il lavoro che è stato svolto nel corso delle tre settimane disponibili, è consistito nel proporre agli studenti, impegnati in quattro diversi esercizi progettuali, una modalità di approccio basata su di un aspetto della Composizione: la esplorazione delle pratiche combinatorie. Concentrare gli sforzi conoscitivi sul potenziale formale di un morfema iniziale, dato inizialmente dalla docenza, è stato l’obiettivo prefissoci. Nel costruire i diagrammi, le matrici, le memnoteche destinati a contenere le famiglie di permutazioni di volta in volta individuate, è apparso un elemento inizialmente non contemplato: il desiderio di rendere queste elaborazioni non solo chiare ed evidenti nella loro processualità, ma di attribuire loro una qualche estetizzazione. Un valore aggiunto che non costituiva un obiettivo, ma che si è rivelato un fattore decisivo: anche nella apparente (apparente, ma non è stata intesa, fortunatamente, così dagli studenti) strumentalità dell’esercizio, nessuno dei gruppi ha rinunciato alla propria creatività. Una creatività disciplinata, diremmo quasi vigilata dal rigido limite imposto, ma ben presente nell’immaginario di ogni studente. E per fortuna.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11578/38295
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