Da ormai più di vent’anni un tema strategico nelle politiche europee e nazionali è quello attinente la riqualificazione dei quartieri residenziali periferici costruiti nelle espansioni urbane del dopoguerra, spesso per iniziativa pubblica, quartieri oggi depressi socio-economicamente, fisicamente degradati e marginali rispetto ai centri urbani. Dopo varie sperimentazioni, quello che appare strategico in molti casi di “urban regeneration” è un approccio integrato alla riqualificazione di questi settori urbani, che consideri cioè aspetti non solo architettonici e urbanistici, ma anche sociali, economici, ambientali, culturali, paesaggistici. In molti casi vengono sviluppati progetti pilota che sperimentano ed individuano apposite “best practices” adatte a una successiva azione capillare nelle numerose zone problematiche. Sebbene sia impossibile applicare “best practices” procedurali e progettuali indifferentemente nel territorio europeo, ma queste vadano definite sulla base delle specifiche condizioni locali, l’attuale “know how” sulla questione individua temi ricorrenti che caratterizzano la buona riuscita di tali interventi di rigenerazione. I finanziamenti arrivano da risorse diversificate, dalla comunità europea, da enti appositamente istituiti o da partnership tra diversi attori, pubblici e privati, affiancati dalla partecipazione dei cittadini nei processi decisionali. Dal punto di vista del disegno urbano invece, tema ricorrente è la riconsiderazione dello spazio pubblico, molto trascurato dalla progettualità del movimento moderno, come fattore di socialità, condivisione, sviluppo delle attività. Questi citati sono, tra l’altro, gli indirizzi contenuti nella Carta di Lipsia sulle Città Europee Sostenibili del 2007. Anche in Italia, a partire dagli anni ’90, ci sono stati dei tentativi di rigenerazione urbana sui quartieri residenziali, attraverso strumenti specifici (programmi complessi e PRU, CdQ…) con risultati talvolta positivi, che non hanno fatto capo però ad una politica chiara e continuativa sull’argomento e risultano esiti piuttosto frammentari. In considerazione di ciò, la ricerca di interesse nazionale 2011-2013 “Living Urban Scape – Abitare lo Spazio Urbano”, finanziata alle Università IUAV di Venezia e RomaTre dal MIUR, indaga la questione per definire una nuova “qualità dell’abitare” nelle periferie residenziali italiane. Campo applicativo della ricerca sono i quartieri pubblici anni ‘60-’80, oggi più di altri caratterizzati dalla presenza di molti problemi – obsolescenza, monofunzionalità, isolamento, incompletezza, abbandono, depressione socioeconomica, stigmatizzazione negativa – che hanno portato ad un’ampia volontà di intervenire da parte delle amministrazioni e degli stessi abitanti. L’approccio scelto considera la condizione problematica degli spazi aperti, pubblici e privati, come un’importante occasione per una riqualificazione di ampio respiro, concentrando l’attenzione su quelle aree residuali – “terzo paesaggio” - potenzialmente capaci di trasformazioni anche sostanziose. Come “sfruttare” questa sottovalutata risorsa delle periferie per avviare fenomeni di rigenerazione urbana che, partendo da un ridisegno e un nuovo utilizzo di tali spazi, possano incidere in una rinascita anche sociale ed economica? Le tematiche progettuali affrontate riguardano lo spazio pubblico, la densità (e diversità), la sostenibilità. Lo spazio aperto, fluido ed indistinto in tali aree, può essere riconfigurato attraverso opportune operazioni di densificazione ed articolazione funzionale, ad esempio nei degradati piani pilotis degli edifici, o nelle aree preposte agli standard urbanistici mai realizzati. L’opportunità di realizzare nuove costruzioni sostenibili è finalizzata anche a dar vita, facendo da quinta, ad ambiti spaziali più riconoscibili ed intimi, spazi pubblici o condivisi, potenzialmente gestiti dai residenti. L’appropriazione spontanea dei “residui” è infatti fenomeno da valorizzare, anche economicamente, come dimostrano i francesi “Jardins Partagés” del programma “Main Verte” del 2003. Non si tratta quindi solo di “riempire” i vuoti per ripristinare la complessità urbana mancante (e per attrarre interessi di investitori privati che consentano la fattibilità dell’operazione): la qualità del vivere contemporanea ricerca una maggiore intensità delle relazioni ed un più diretto contatto tra uomo e natura, come si intende nel principio della sostenibilità ambientale e sociale ampiamente riconosciuto a livello europeo.

Rigenerare i quartieri residenziali del dopoguerra: una prospettiva possibile per l’Italia

DE MATTEIS, MILENA;
2011-01-01

Abstract

Da ormai più di vent’anni un tema strategico nelle politiche europee e nazionali è quello attinente la riqualificazione dei quartieri residenziali periferici costruiti nelle espansioni urbane del dopoguerra, spesso per iniziativa pubblica, quartieri oggi depressi socio-economicamente, fisicamente degradati e marginali rispetto ai centri urbani. Dopo varie sperimentazioni, quello che appare strategico in molti casi di “urban regeneration” è un approccio integrato alla riqualificazione di questi settori urbani, che consideri cioè aspetti non solo architettonici e urbanistici, ma anche sociali, economici, ambientali, culturali, paesaggistici. In molti casi vengono sviluppati progetti pilota che sperimentano ed individuano apposite “best practices” adatte a una successiva azione capillare nelle numerose zone problematiche. Sebbene sia impossibile applicare “best practices” procedurali e progettuali indifferentemente nel territorio europeo, ma queste vadano definite sulla base delle specifiche condizioni locali, l’attuale “know how” sulla questione individua temi ricorrenti che caratterizzano la buona riuscita di tali interventi di rigenerazione. I finanziamenti arrivano da risorse diversificate, dalla comunità europea, da enti appositamente istituiti o da partnership tra diversi attori, pubblici e privati, affiancati dalla partecipazione dei cittadini nei processi decisionali. Dal punto di vista del disegno urbano invece, tema ricorrente è la riconsiderazione dello spazio pubblico, molto trascurato dalla progettualità del movimento moderno, come fattore di socialità, condivisione, sviluppo delle attività. Questi citati sono, tra l’altro, gli indirizzi contenuti nella Carta di Lipsia sulle Città Europee Sostenibili del 2007. Anche in Italia, a partire dagli anni ’90, ci sono stati dei tentativi di rigenerazione urbana sui quartieri residenziali, attraverso strumenti specifici (programmi complessi e PRU, CdQ…) con risultati talvolta positivi, che non hanno fatto capo però ad una politica chiara e continuativa sull’argomento e risultano esiti piuttosto frammentari. In considerazione di ciò, la ricerca di interesse nazionale 2011-2013 “Living Urban Scape – Abitare lo Spazio Urbano”, finanziata alle Università IUAV di Venezia e RomaTre dal MIUR, indaga la questione per definire una nuova “qualità dell’abitare” nelle periferie residenziali italiane. Campo applicativo della ricerca sono i quartieri pubblici anni ‘60-’80, oggi più di altri caratterizzati dalla presenza di molti problemi – obsolescenza, monofunzionalità, isolamento, incompletezza, abbandono, depressione socioeconomica, stigmatizzazione negativa – che hanno portato ad un’ampia volontà di intervenire da parte delle amministrazioni e degli stessi abitanti. L’approccio scelto considera la condizione problematica degli spazi aperti, pubblici e privati, come un’importante occasione per una riqualificazione di ampio respiro, concentrando l’attenzione su quelle aree residuali – “terzo paesaggio” - potenzialmente capaci di trasformazioni anche sostanziose. Come “sfruttare” questa sottovalutata risorsa delle periferie per avviare fenomeni di rigenerazione urbana che, partendo da un ridisegno e un nuovo utilizzo di tali spazi, possano incidere in una rinascita anche sociale ed economica? Le tematiche progettuali affrontate riguardano lo spazio pubblico, la densità (e diversità), la sostenibilità. Lo spazio aperto, fluido ed indistinto in tali aree, può essere riconfigurato attraverso opportune operazioni di densificazione ed articolazione funzionale, ad esempio nei degradati piani pilotis degli edifici, o nelle aree preposte agli standard urbanistici mai realizzati. L’opportunità di realizzare nuove costruzioni sostenibili è finalizzata anche a dar vita, facendo da quinta, ad ambiti spaziali più riconoscibili ed intimi, spazi pubblici o condivisi, potenzialmente gestiti dai residenti. L’appropriazione spontanea dei “residui” è infatti fenomeno da valorizzare, anche economicamente, come dimostrano i francesi “Jardins Partagés” del programma “Main Verte” del 2003. Non si tratta quindi solo di “riempire” i vuoti per ripristinare la complessità urbana mancante (e per attrarre interessi di investitori privati che consentano la fattibilità dell’operazione): la qualità del vivere contemporanea ricerca una maggiore intensità delle relazioni ed un più diretto contatto tra uomo e natura, come si intende nel principio della sostenibilità ambientale e sociale ampiamente riconosciuto a livello europeo.
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