Il sistema pensionistico italiano è stato profondamente riformato a partire dal 1992 e, per molti versi, è oggi diventato necessario condurre il suo studio in maniera congiunta a quello del mercato del lavoro. Nel suo disegno complessivo, infatti, esso propone una pensione che diviene essenzialmente lo specchio della carriera lavorativa. Il passaggio dal metodo retributivo a quello contributivo, in vigore per tutti i lavoratori assunti a partire dal 1996, implica infatti che l’importo della pensione sia strettamente legato, sulla base di un tasso di rendimento determinato dalla legge, ai contributi versati e alla vita attesa al momento del pensionamento, applicando un principio di equità attuariale secondo cui quanto corrisposto corrisponde esattamente al flusso di pensioni in seguito percepito. Proprio nella sua chiarezza e linearità questa prospettiva evidenzia però gli allarmanti effetti pensionistici di un mercato del lavoro in cui si trovano diverse figure di lavoratori atipici. In un sistema previdenziale non redistributivo come quello che si sta delineando, l’esistenza di categorie di lavoratori particolarmente deboli, specialmente dal punto di vista del reddito, può essere la premessa alla formazione di gruppi di pensionati con risorse inadeguate per l’età anziana. In questo studio l’analisi si concentra sulla quantificazione della copertura previdenziale per una tipologia particolare di lavoratori atipici, i lavoratori parasubordinati. In molti degli esempi trattati si dimostra come l’importo della pensione sia destinato a confluire nell’ambito di applicazione dell’assegno sociale, a causa dell’effetto congiunto di bassi redditi da lavoro e di aliquote contributive ridotte.

Le pensioni dei lavoratori parasubordinati: prospettive dopo un decennio di gestione separata

SEGRE, GIOVANNA
2009-01-01

Abstract

Il sistema pensionistico italiano è stato profondamente riformato a partire dal 1992 e, per molti versi, è oggi diventato necessario condurre il suo studio in maniera congiunta a quello del mercato del lavoro. Nel suo disegno complessivo, infatti, esso propone una pensione che diviene essenzialmente lo specchio della carriera lavorativa. Il passaggio dal metodo retributivo a quello contributivo, in vigore per tutti i lavoratori assunti a partire dal 1996, implica infatti che l’importo della pensione sia strettamente legato, sulla base di un tasso di rendimento determinato dalla legge, ai contributi versati e alla vita attesa al momento del pensionamento, applicando un principio di equità attuariale secondo cui quanto corrisposto corrisponde esattamente al flusso di pensioni in seguito percepito. Proprio nella sua chiarezza e linearità questa prospettiva evidenzia però gli allarmanti effetti pensionistici di un mercato del lavoro in cui si trovano diverse figure di lavoratori atipici. In un sistema previdenziale non redistributivo come quello che si sta delineando, l’esistenza di categorie di lavoratori particolarmente deboli, specialmente dal punto di vista del reddito, può essere la premessa alla formazione di gruppi di pensionati con risorse inadeguate per l’età anziana. In questo studio l’analisi si concentra sulla quantificazione della copertura previdenziale per una tipologia particolare di lavoratori atipici, i lavoratori parasubordinati. In molti degli esempi trattati si dimostra come l’importo della pensione sia destinato a confluire nell’ambito di applicazione dell’assegno sociale, a causa dell’effetto congiunto di bassi redditi da lavoro e di aliquote contributive ridotte.
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