Il progressivo processo di espansione, che ha investito le città negli ultimi trent’anni, ha coinvolto anche i complessi produttivi dismessi incorporati in contesti urbani o peri-urbani, che vengono in tal modo inseriti in un tessuto costruito, sottoposto a logiche economiche, relazionali e formali diverse e più articolate. Intervenire sui manufatti produttivi dismessi può rappresentare un’occasione preziosa per riconfigurare spazi strategici per lo sviluppo urbano, anche nell’ottica di un minor consumo di territorio. I paesaggi della produzione, costituiti molto spesso da ampie volumetrie e da grandi aree non edificate, possono consentire di allocare in opere polifunzionali di grandi dimensioni programmi ibridi e articolati, con modalità di fruizione aperte alla più ampia rappresentanza sociale, in grado di contribuire all’efficienza, all’inclusività e alla sostenibilità generale. Il ruolo che l’area tecnologica può svolgere si palesa in un ventaglio di sfaccettature tecniche, che spaziano dai diversi modi di intervenire sul costruito (restauro, recupero e riuso, rstrutturazione) alla sostituzione con nuove costruzioni degli edifici esistenti che non presentino valori – architettonici, storici, testimoniali o anche solo funzionali – degni di tutela. Ad esemplificazione di tali potenzialità, vengono presentati due progetti, dei quali uno già realizzato, che propongono nuove strategie, che consentano di superare la nozione di progetto come pratica permanente per ripensarlo, invece, come sistema aperto, in grado di ammettere ipotesi transitorie e flessibili e di rendere percorribili soluzioni reversibili. Il primo esempio presentato è offerto dall’ambizioso programma, ancora in fase di elaborazione, dell’Università di Torino sull’area Basse di Stura per qualificare Torino come smart city a livello europeo attraverso attività diverse, anche produttive, e la creazione di un cluster energetico autonomo con un grande parco fotovoltaico, una centrale di cogenerazione e una rete di teleriscaldamento. Il secondo interessante esempio è offerto dal Seirensho Art Museum, costruito nel 2008 nell’isola giapponese di Inujima su progetto dell’architetto Hiroshi Sambuichi e dell’artista Yukinori Yanagi, riutilizzando un’area di estrazione mineraria per la lavorazione del rame risalente al 1909, trasformata, seguendo un processo di “automusealizzazione” dinamico e innovativo. I manufatti, costruiti in granito locale e in legno, e le ciminiere realizzate in mattoni sono stati tutti conservati con la totale leggibilità degli impianti nelle relazioni tra i vari manufatti fino alla “ruderizzazione” delle componenti non più recuperabili a nuove funzioni. Per il riuso a sede museale sono stati utilizzati materiali e forme moderni che si integrano alle preesistenze e che ne sfruttano le caratteristiche a fini energetici (ciminiera come camino).

INPUT TECNOLOGICI PER IL GOVERNO DELLE DINAMICHE EVOLUTIVE DELL'AMBIENTE COSTRUITO

RIVA, GIANNA
2013-01-01

Abstract

Il progressivo processo di espansione, che ha investito le città negli ultimi trent’anni, ha coinvolto anche i complessi produttivi dismessi incorporati in contesti urbani o peri-urbani, che vengono in tal modo inseriti in un tessuto costruito, sottoposto a logiche economiche, relazionali e formali diverse e più articolate. Intervenire sui manufatti produttivi dismessi può rappresentare un’occasione preziosa per riconfigurare spazi strategici per lo sviluppo urbano, anche nell’ottica di un minor consumo di territorio. I paesaggi della produzione, costituiti molto spesso da ampie volumetrie e da grandi aree non edificate, possono consentire di allocare in opere polifunzionali di grandi dimensioni programmi ibridi e articolati, con modalità di fruizione aperte alla più ampia rappresentanza sociale, in grado di contribuire all’efficienza, all’inclusività e alla sostenibilità generale. Il ruolo che l’area tecnologica può svolgere si palesa in un ventaglio di sfaccettature tecniche, che spaziano dai diversi modi di intervenire sul costruito (restauro, recupero e riuso, rstrutturazione) alla sostituzione con nuove costruzioni degli edifici esistenti che non presentino valori – architettonici, storici, testimoniali o anche solo funzionali – degni di tutela. Ad esemplificazione di tali potenzialità, vengono presentati due progetti, dei quali uno già realizzato, che propongono nuove strategie, che consentano di superare la nozione di progetto come pratica permanente per ripensarlo, invece, come sistema aperto, in grado di ammettere ipotesi transitorie e flessibili e di rendere percorribili soluzioni reversibili. Il primo esempio presentato è offerto dall’ambizioso programma, ancora in fase di elaborazione, dell’Università di Torino sull’area Basse di Stura per qualificare Torino come smart city a livello europeo attraverso attività diverse, anche produttive, e la creazione di un cluster energetico autonomo con un grande parco fotovoltaico, una centrale di cogenerazione e una rete di teleriscaldamento. Il secondo interessante esempio è offerto dal Seirensho Art Museum, costruito nel 2008 nell’isola giapponese di Inujima su progetto dell’architetto Hiroshi Sambuichi e dell’artista Yukinori Yanagi, riutilizzando un’area di estrazione mineraria per la lavorazione del rame risalente al 1909, trasformata, seguendo un processo di “automusealizzazione” dinamico e innovativo. I manufatti, costruiti in granito locale e in legno, e le ciminiere realizzate in mattoni sono stati tutti conservati con la totale leggibilità degli impianti nelle relazioni tra i vari manufatti fino alla “ruderizzazione” delle componenti non più recuperabili a nuove funzioni. Per il riuso a sede museale sono stati utilizzati materiali e forme moderni che si integrano alle preesistenze e che ne sfruttano le caratteristiche a fini energetici (ciminiera come camino).
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