Il disegno è sempre stato fatto di poco, ma ora sembra essersi ridotto a meno di niente, un niente d'essenza e di consistenza. Ha ancora senso occuparsi e preoccuparsi del disegno in quanto tale? Ha ancora senso distinguere il disegno d'architettura dal progetto quando tutta l'attenzione si è finalmente concentrata sul prodotto e sul processo produttivo? Il disegno si è per lo più trasformato in disegno tecnico e si è attivamente protetto contro ogni incertezza: istruzioni, comandi e codici limitano al minimo il tempo della divagazione e i margini di indeterminazione. Il progetto fugge dal disegno come dalla propria cattiva coscienza, l'insofferenza nei suoi confronti è paura del vuoto, e così il foglio e lo schermo si riempiono di cose e di azioni, che però sono cose e azioni diminuite: componenti elementari, primitive grafiche, cornici e griglie regolari. L'accumulazione di icone e di minime domande rimuove la domanda più importante sulla necessità dell'architettura, che è una delle varianti particolari della domanda fondamentale sulla necessità della realtà stessa. L'urgenza di chiudere ogni contorno riduce a zero l'istante e il prodigio dell'apparizione, il momento in cui nella massa del reale e del virtuale qualcosa si separa e diventa qualcosa. Eppure il disegno potrebbe essere il luogo e l'occasione – una delle poche rimaste – in cui si rigenera lo stupore per il fatto che le cose e le opere semplicemente sono.

In bianco e nero : sulla materia oscura del disegno e dell'architettura

GARBIN, EMANUELE
2014-01-01

Abstract

Il disegno è sempre stato fatto di poco, ma ora sembra essersi ridotto a meno di niente, un niente d'essenza e di consistenza. Ha ancora senso occuparsi e preoccuparsi del disegno in quanto tale? Ha ancora senso distinguere il disegno d'architettura dal progetto quando tutta l'attenzione si è finalmente concentrata sul prodotto e sul processo produttivo? Il disegno si è per lo più trasformato in disegno tecnico e si è attivamente protetto contro ogni incertezza: istruzioni, comandi e codici limitano al minimo il tempo della divagazione e i margini di indeterminazione. Il progetto fugge dal disegno come dalla propria cattiva coscienza, l'insofferenza nei suoi confronti è paura del vuoto, e così il foglio e lo schermo si riempiono di cose e di azioni, che però sono cose e azioni diminuite: componenti elementari, primitive grafiche, cornici e griglie regolari. L'accumulazione di icone e di minime domande rimuove la domanda più importante sulla necessità dell'architettura, che è una delle varianti particolari della domanda fondamentale sulla necessità della realtà stessa. L'urgenza di chiudere ogni contorno riduce a zero l'istante e il prodigio dell'apparizione, il momento in cui nella massa del reale e del virtuale qualcosa si separa e diventa qualcosa. Eppure il disegno potrebbe essere il luogo e l'occasione – una delle poche rimaste – in cui si rigenera lo stupore per il fatto che le cose e le opere semplicemente sono.
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