Il saggio propone una lettura critica del celebre trattato di Caramuel de Lobkowitz intitolato Architectura Civil Recta y Obliqua pubblicato a Vigevano nel 1678 e, in particolare, del IV trattato del secondo tomo in cui l’autore affronta la questione dell’architettura obliqua. I sistemi di obliquazione proposti dal padre cistercense vengono analizzati prima nel loro impianto teorico, mediante la rilettura del trattato, e poi verificati attraverso delle ricostruzioni digitali che tentano di ripercorrere e riproporre in una nuova chiave esegetica, l’originario sistema proiettivo di deformazione. Le teorie di Lobkowitz sembrano perfettamente allinearsi in quella tendenza barocca di porre una netta separazione tra l’essere e l’apparire, dove il secondo termine prende una sua indipendenza dal primo, al punto che non sempre, anzi quasi mai, ciò che si vede è realmente ciò che è. Quindi, se da un lato si sprigiona un’esaltazione dell’apparenza, dove la prospettiva, caratterizzante le opere del primo Rinascimento, soprattutto dell’Alberti e di Piero della Francesca, perde la funzione delimitante e ordinativa per andare a significare, all’opposto, l’infinita rottura del limite, sull’altro versante, diametralmente opposto, si contrappongono concettualmente le teorie anti-prospettiche di Caramuel. Anche l’architettura obliqua predicata dal Padre cistercense è, in un certo senso, fatta di apparenze, ma questa volta è deforme nella realtà fisica per poi apparire ordinata all’occhio dell’osservatore. Il dinamismo dei volumi architettonici proposti da Caramuel non si dilata, non conosce accelerazione prospettica, non si obliqua per creare un’architettura deformata, quanto piuttosto per realizzare l’apparenza di uno spazio geometrico perfettamente ordinato da un centro ben distinto. Il modello di obliquazione proposto da Caramuel è, dal punto di vista concettuale e pratico, in netta contrapposizione con gli esperimenti di prospettiva solida accelerata proposti dal Borromini a Roma per la galleria del palazzo Spada (1652). Il centro della deformazione non è più l’occhio fisso dell’osservatore, come avviene negli esperimenti borrominiani, ma un occhio divino che da una sua distanza infinitamente lontana governa la deformazione mediante un’anamorfosi cilindrica e, quindi, da un centro improprio. Su questi presupposti, le originali teorie sull’estetica architettonica proposte da Caramuel non sono solo per l’autore un modo per partecipare ad al dibattito culturale Seicentesco che, in materia di architettura, aveva già da tempo avviato uno sperimentalismo formale senza precedenti ma, piuttosto, assumono i connotati di un ‘monito’ attraverso il quale egli tenta di ristabilire, a suo modo, un ordine di idee e una gerarchia di valori che proprio nel Barocco sembravano messi in discussione. Le teorie sulla degenerazione dell’ordine verso sistemi obliqui nel pensiero caramueliano fanno parte, in realtà, di un discorso molto più ampio e che riguarda l’intera realtà dell’esperienza umana, in ogni suo ambito.

Architectura civil recta y obliqua di Juan Caramuel de Lobkowitz: regola, geometria, trasgressione

D'ACUNTO, GIUSEPPE
2014-01-01

Abstract

Il saggio propone una lettura critica del celebre trattato di Caramuel de Lobkowitz intitolato Architectura Civil Recta y Obliqua pubblicato a Vigevano nel 1678 e, in particolare, del IV trattato del secondo tomo in cui l’autore affronta la questione dell’architettura obliqua. I sistemi di obliquazione proposti dal padre cistercense vengono analizzati prima nel loro impianto teorico, mediante la rilettura del trattato, e poi verificati attraverso delle ricostruzioni digitali che tentano di ripercorrere e riproporre in una nuova chiave esegetica, l’originario sistema proiettivo di deformazione. Le teorie di Lobkowitz sembrano perfettamente allinearsi in quella tendenza barocca di porre una netta separazione tra l’essere e l’apparire, dove il secondo termine prende una sua indipendenza dal primo, al punto che non sempre, anzi quasi mai, ciò che si vede è realmente ciò che è. Quindi, se da un lato si sprigiona un’esaltazione dell’apparenza, dove la prospettiva, caratterizzante le opere del primo Rinascimento, soprattutto dell’Alberti e di Piero della Francesca, perde la funzione delimitante e ordinativa per andare a significare, all’opposto, l’infinita rottura del limite, sull’altro versante, diametralmente opposto, si contrappongono concettualmente le teorie anti-prospettiche di Caramuel. Anche l’architettura obliqua predicata dal Padre cistercense è, in un certo senso, fatta di apparenze, ma questa volta è deforme nella realtà fisica per poi apparire ordinata all’occhio dell’osservatore. Il dinamismo dei volumi architettonici proposti da Caramuel non si dilata, non conosce accelerazione prospettica, non si obliqua per creare un’architettura deformata, quanto piuttosto per realizzare l’apparenza di uno spazio geometrico perfettamente ordinato da un centro ben distinto. Il modello di obliquazione proposto da Caramuel è, dal punto di vista concettuale e pratico, in netta contrapposizione con gli esperimenti di prospettiva solida accelerata proposti dal Borromini a Roma per la galleria del palazzo Spada (1652). Il centro della deformazione non è più l’occhio fisso dell’osservatore, come avviene negli esperimenti borrominiani, ma un occhio divino che da una sua distanza infinitamente lontana governa la deformazione mediante un’anamorfosi cilindrica e, quindi, da un centro improprio. Su questi presupposti, le originali teorie sull’estetica architettonica proposte da Caramuel non sono solo per l’autore un modo per partecipare ad al dibattito culturale Seicentesco che, in materia di architettura, aveva già da tempo avviato uno sperimentalismo formale senza precedenti ma, piuttosto, assumono i connotati di un ‘monito’ attraverso il quale egli tenta di ristabilire, a suo modo, un ordine di idee e una gerarchia di valori che proprio nel Barocco sembravano messi in discussione. Le teorie sulla degenerazione dell’ordine verso sistemi obliqui nel pensiero caramueliano fanno parte, in realtà, di un discorso molto più ampio e che riguarda l’intera realtà dell’esperienza umana, in ogni suo ambito.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11578/167689
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