IDEE PER LA RAPPRESENTAZIONE, Sesto Seminario di Studi, Struttura Didattica Speciale di Architettura, Università di Catania, Siracusa, 10 maggio 2013. L’atto dell’imprimere consiste nel trasferire una configurazione - bidimensionale o solida - dal supporto fisico di una materia ad un altra. Un’orma nel fango, il rilievo di un reperto con un calco in gesso, l’impronta sul suolo della pianta di un edificio, il trasferimento dell’immagine fotografica sull’emulsione della pellicola configurano in ogni caso la trasmissione (e la duplicazione) di una forma. Il più delle volte l’impronta costituisce il negativo della forma originale. L’azione dell’imprimere, può snodarsi in tempi rapidissimi, come quelli di una timbratura, o scorrere molto lentamente come quando un limite, un segno naturale trasferisce nel corso dei secoli la sua impronta alla forma di una città o di un territorio. Allo stesso modo, la permanenza di un’impronta è in definita, ed essa può documentare un’azione recente o molto lontana nel tempo. Inoltre, come mostrato dai complessi meccanismi di pietrificazione delle impronte fossili, la trasmissione della forma può avvenire in due opposte direzioni, in un reciproco gioco di inversioni speculari, definendo prima un’impronta negativa che a sua volta imprimerà una forma finale positiva, analoga a quella di partenza. Benché spesso si attribuisca alle impronte un valore testimoniale, esse non replicano mai esattamente la forma di ciò che le ha generate ma, nonostante la ricchezza e la vari età dei modi di trasferimento, ne costituiscono piuttosto una trascrizione meccanica. Se è vero che una forma è interpretabile come l’impronta delle forze che l’hanno determinata, d’altra parte ogni impronta può essere anche una falsa traccia , persino impressa volontariamente, come, in Shining, le orme lasciate dal bambino camminando all’indietro sul suolo del labirinto innevato. Ogni impronta è infatti, compiutamente, una rappresentazione della forma che la ha generata e come tale instaura con la sua matrice un rapporto di natura complessa. Questo avviene quando la forma si imprime inconsapevolmente - persino accidentalmente - ed è quindi necessario fare ricorso al dominio di specifiche discipline per interpretare le tracce impresse, come avviene nella lettura dell’impronta genetica o come era d’uso nelle indagini delle impronte stilistiche nel “metodo morelliano”. Allo stesso modo ciò avviene anche quando l’atto dell’imprimere è preparato attraverso una scrupolosa e consapevole elaborazione della matrice, come nella stampa calcografica, nella costruzione degli stampi di fusione o la realizzazione di complesse casseforme per il calcestruzzo; precisione e dettaglio in questi casi diventano parti integranti del patrimonio genetico delle impronte. Forse in questi casi risulta ancora più evidente come, investendo anche il rapporto reciproco tra “positivo” e “negativo”, la riflessione sul tema dell’impronta, possa spingersi sino all’indagine della correlazione tra figura e sfondo nell’immagine e tra forma e spazio in architettura, come mostrato da Luigi Moretti nella rappresentazione volumetrica degli spazi interni intesi come matrici della forma architettonica. Se è vero, inoltre, che ogni impronta configura una rappresentazione, per converso la rappresentazione può essere intesa come l’impronta culturale di un preciso momento storico, assieme alle interpretazioni che su di essa si imprimono come concrezioni. Il sesto seminario di Idee per la rappresentazione vuole quest’anno proporre il tema dell’impronta come uno dei nodi della riflessione sul rapporto tra la forma e la sua rappresentazione, nell’ambito dell’architettura e degli studi visuali, coinvolgendo come di consueto i contributi di altre discipline.
Impronte
GAY, FABRIZIO;CIRAFICI , ALESSANDRA;
2014-01-01
Abstract
IDEE PER LA RAPPRESENTAZIONE, Sesto Seminario di Studi, Struttura Didattica Speciale di Architettura, Università di Catania, Siracusa, 10 maggio 2013. L’atto dell’imprimere consiste nel trasferire una configurazione - bidimensionale o solida - dal supporto fisico di una materia ad un altra. Un’orma nel fango, il rilievo di un reperto con un calco in gesso, l’impronta sul suolo della pianta di un edificio, il trasferimento dell’immagine fotografica sull’emulsione della pellicola configurano in ogni caso la trasmissione (e la duplicazione) di una forma. Il più delle volte l’impronta costituisce il negativo della forma originale. L’azione dell’imprimere, può snodarsi in tempi rapidissimi, come quelli di una timbratura, o scorrere molto lentamente come quando un limite, un segno naturale trasferisce nel corso dei secoli la sua impronta alla forma di una città o di un territorio. Allo stesso modo, la permanenza di un’impronta è in definita, ed essa può documentare un’azione recente o molto lontana nel tempo. Inoltre, come mostrato dai complessi meccanismi di pietrificazione delle impronte fossili, la trasmissione della forma può avvenire in due opposte direzioni, in un reciproco gioco di inversioni speculari, definendo prima un’impronta negativa che a sua volta imprimerà una forma finale positiva, analoga a quella di partenza. Benché spesso si attribuisca alle impronte un valore testimoniale, esse non replicano mai esattamente la forma di ciò che le ha generate ma, nonostante la ricchezza e la vari età dei modi di trasferimento, ne costituiscono piuttosto una trascrizione meccanica. Se è vero che una forma è interpretabile come l’impronta delle forze che l’hanno determinata, d’altra parte ogni impronta può essere anche una falsa traccia , persino impressa volontariamente, come, in Shining, le orme lasciate dal bambino camminando all’indietro sul suolo del labirinto innevato. Ogni impronta è infatti, compiutamente, una rappresentazione della forma che la ha generata e come tale instaura con la sua matrice un rapporto di natura complessa. Questo avviene quando la forma si imprime inconsapevolmente - persino accidentalmente - ed è quindi necessario fare ricorso al dominio di specifiche discipline per interpretare le tracce impresse, come avviene nella lettura dell’impronta genetica o come era d’uso nelle indagini delle impronte stilistiche nel “metodo morelliano”. Allo stesso modo ciò avviene anche quando l’atto dell’imprimere è preparato attraverso una scrupolosa e consapevole elaborazione della matrice, come nella stampa calcografica, nella costruzione degli stampi di fusione o la realizzazione di complesse casseforme per il calcestruzzo; precisione e dettaglio in questi casi diventano parti integranti del patrimonio genetico delle impronte. Forse in questi casi risulta ancora più evidente come, investendo anche il rapporto reciproco tra “positivo” e “negativo”, la riflessione sul tema dell’impronta, possa spingersi sino all’indagine della correlazione tra figura e sfondo nell’immagine e tra forma e spazio in architettura, come mostrato da Luigi Moretti nella rappresentazione volumetrica degli spazi interni intesi come matrici della forma architettonica. Se è vero, inoltre, che ogni impronta configura una rappresentazione, per converso la rappresentazione può essere intesa come l’impronta culturale di un preciso momento storico, assieme alle interpretazioni che su di essa si imprimono come concrezioni. Il sesto seminario di Idee per la rappresentazione vuole quest’anno proporre il tema dell’impronta come uno dei nodi della riflessione sul rapporto tra la forma e la sua rappresentazione, nell’ambito dell’architettura e degli studi visuali, coinvolgendo come di consueto i contributi di altre discipline.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.