La fortuna conosciuta dai manti plumbei a Venezia coincide con l’età del rinascimento e del classicismo architettonico. Il metallo era apparso da tempo remoto in Laguna quale materiale di copertura, ma il suo impiego, fino allo scadere del Medioevo, si limitava ai due soli casi del Palazzo dei Dogi e della chiesa palatina di San Marco. Dalla seconda metà del XV secolo, tuttavia, il materiale viene proposto anche in altre architetture: ecclesiastiche, monastiche e pubbliche, oltre che in quasi tutte le cupole cittadine. Chimicamente stabile, resistente come pochi altri metalli all’aggressione degli agenti atmosferici, il piombo in fogli posto sui tetti e sulle cupole consentiva di diradare la cadenza degli interventi manutentori, offrendo il beneficio della relativa leggerezza. Materiale pregiato e costoso, il piombo presente sui tetti ha indotto agli imbrogli nella lavorazione e nella fornitura e a molti furti, testimoniati da numerose carte d’archivio. Le lastre venivano prodotte versando e spianando il metallo liquefatto su appositi ripiani, come testimoniato dalla trattatistica (Vincenzo Scamozzi, 1615, e Giuseppe Viola Zanini, 1629). La tecnica di montaggio delle lastre richiedeva l’impiego di appositi chiodi in rame, gli stropparoli, termine attestato già nella seconda metà del XVI secolo. Esisteva in Laguna anche una specifica professione, quella del piomber, l’artigiano incaricato di butar o rebutar piombi e di svolgere opera di manutenzione dei tetti metallici, professione testimoniata dalle carte a partire dalla prima metà del sedicesimo secolo: una professione tutt’altro che estesa, circoscritta anzi con ogni probabilità a pochissimi soggetti, nata e sopravvissuta forse solo perché associata simbioticamente con le fabbriche ducali, e tuttavia segnata da una propria competenza e specifica abilità.
I manti plumbei nella Venezia del Rinascimento
PIANA, MARIO
2004-01-01
Abstract
La fortuna conosciuta dai manti plumbei a Venezia coincide con l’età del rinascimento e del classicismo architettonico. Il metallo era apparso da tempo remoto in Laguna quale materiale di copertura, ma il suo impiego, fino allo scadere del Medioevo, si limitava ai due soli casi del Palazzo dei Dogi e della chiesa palatina di San Marco. Dalla seconda metà del XV secolo, tuttavia, il materiale viene proposto anche in altre architetture: ecclesiastiche, monastiche e pubbliche, oltre che in quasi tutte le cupole cittadine. Chimicamente stabile, resistente come pochi altri metalli all’aggressione degli agenti atmosferici, il piombo in fogli posto sui tetti e sulle cupole consentiva di diradare la cadenza degli interventi manutentori, offrendo il beneficio della relativa leggerezza. Materiale pregiato e costoso, il piombo presente sui tetti ha indotto agli imbrogli nella lavorazione e nella fornitura e a molti furti, testimoniati da numerose carte d’archivio. Le lastre venivano prodotte versando e spianando il metallo liquefatto su appositi ripiani, come testimoniato dalla trattatistica (Vincenzo Scamozzi, 1615, e Giuseppe Viola Zanini, 1629). La tecnica di montaggio delle lastre richiedeva l’impiego di appositi chiodi in rame, gli stropparoli, termine attestato già nella seconda metà del XVI secolo. Esisteva in Laguna anche una specifica professione, quella del piomber, l’artigiano incaricato di butar o rebutar piombi e di svolgere opera di manutenzione dei tetti metallici, professione testimoniata dalle carte a partire dalla prima metà del sedicesimo secolo: una professione tutt’altro che estesa, circoscritta anzi con ogni probabilità a pochissimi soggetti, nata e sopravvissuta forse solo perché associata simbioticamente con le fabbriche ducali, e tuttavia segnata da una propria competenza e specifica abilità.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.