“Il fatto è che mi hanno assicurato che qui uno può vendere il proprio corpo… Cioè: una volta che sarò morta, allora i signori lì dentro potranno fare col mio cadavere tutto quello che vorranno nell’interesse della scienza… Ma che i soldi però me li darebbero prima. Subito.” Si apre con questa dichiarazione di Elisabeth, giovane protagonista femminile, la danza macabra in cinque quadri di “Fede, speranza, carità”, le tre virtù teologali che sembrano sparite in un contesto sociale in cui l'individuo per sopravvivere ricorre allo stratagemma di vendere a un istituto di anatomia il proprio cadavere, essendo la compra-vendita un fatto pressoché naturale. Elisabeth, commerciante in corsetti, viene multata perché trovata sprovvista di un regolare permesso di vendita; accumulato così un alto debito con lo stato, annaspante nel mare vischioso della burocrazia statale, la ragazza cerca un’opportunità di riscatto e di lucro: si rivolge dunque a un obitorio per vendere il suo cadavere dietro compenso anticipato. E’ il 1932 e in Germania la vendita di organi nel mercato nero è già una realtà. In questa fiaba metropolitana, la protagonista, ottimista e tenace, si oppone a un mondo in cui il denaro è poco, il lavoro scarseggia e in cui ogni piccola infrazione è severamente punita dalla legge. L’amore per un poliziotto caritatevole che le offre stabilità e affetto ricostruisce la sua fede, ma la macchina burocratica avanza, persecutoria e inarrestabile. La vivace ribellione di Elisabeth al sistema è raccontata con humor dark attraverso la sua visione ottimista del mondo, convinta com’è che l’individuo possa trionfare sullo stato, in un mondo desolato e patetico. Da un fatto di cronaca dell’epoca Horváth ha tratto il soggetto per questo dramma, che dipinge un ritratto cinico e pungente di una popolazione portata a compiere gesti estremi e disperati a causa della miseria e della oppressione della macchina statale. Horváth si pone e ci pone domande eterne sulle regole che governano la comunità, i diritti civili e lo stato sociale, ricostruendo la tragedia ancora attuale di una società di massa in cui gli individui rimangono spesso schiacciati dai freddi ingranaggi burocratici.
FEDE, AMORE, SPERANZA (piccola danza macabra in 5 scene) - terza pièce di GIOVENTU’ SENZA DIO, trittico di Ödön von Horváth. Produzione Fondazione Teatro Due di Parma dal 14 febbraio al 2 marzo 2014.
LE MOLI, WALTER
2014-01-01
Abstract
“Il fatto è che mi hanno assicurato che qui uno può vendere il proprio corpo… Cioè: una volta che sarò morta, allora i signori lì dentro potranno fare col mio cadavere tutto quello che vorranno nell’interesse della scienza… Ma che i soldi però me li darebbero prima. Subito.” Si apre con questa dichiarazione di Elisabeth, giovane protagonista femminile, la danza macabra in cinque quadri di “Fede, speranza, carità”, le tre virtù teologali che sembrano sparite in un contesto sociale in cui l'individuo per sopravvivere ricorre allo stratagemma di vendere a un istituto di anatomia il proprio cadavere, essendo la compra-vendita un fatto pressoché naturale. Elisabeth, commerciante in corsetti, viene multata perché trovata sprovvista di un regolare permesso di vendita; accumulato così un alto debito con lo stato, annaspante nel mare vischioso della burocrazia statale, la ragazza cerca un’opportunità di riscatto e di lucro: si rivolge dunque a un obitorio per vendere il suo cadavere dietro compenso anticipato. E’ il 1932 e in Germania la vendita di organi nel mercato nero è già una realtà. In questa fiaba metropolitana, la protagonista, ottimista e tenace, si oppone a un mondo in cui il denaro è poco, il lavoro scarseggia e in cui ogni piccola infrazione è severamente punita dalla legge. L’amore per un poliziotto caritatevole che le offre stabilità e affetto ricostruisce la sua fede, ma la macchina burocratica avanza, persecutoria e inarrestabile. La vivace ribellione di Elisabeth al sistema è raccontata con humor dark attraverso la sua visione ottimista del mondo, convinta com’è che l’individuo possa trionfare sullo stato, in un mondo desolato e patetico. Da un fatto di cronaca dell’epoca Horváth ha tratto il soggetto per questo dramma, che dipinge un ritratto cinico e pungente di una popolazione portata a compiere gesti estremi e disperati a causa della miseria e della oppressione della macchina statale. Horváth si pone e ci pone domande eterne sulle regole che governano la comunità, i diritti civili e lo stato sociale, ricostruendo la tragedia ancora attuale di una società di massa in cui gli individui rimangono spesso schiacciati dai freddi ingranaggi burocratici.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.