Il saggio costituisce la prima tappa di una ricerca comparativa sulle Agende Urbane Nazionali, di iniziativa istituzionale, analizzate come politiche discorsive e strategiche nella loro evoluzione dagli anni ’60 del secolo scorso a oggi, che traccia una vecchia e nuova geografia. L’indagine è stata svolta nell’ambito del Centro Nazionale Italiano per lo studio delle politiche urbane (Urban@it). Lo studio condotto si è basato su: una selezione di casi, su cui sono stati prodotti approfondimenti empirici (Stati Uniti, Unione Europea, Cina, Brasile, Angola, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna, Portogallo, Italia); letture comparate su temi trasversali dell’Agenda europea (città e cooperazione allo sviluppo; strategie di adattamento climatico e sviluppo urbano sostenibile); analisi della documentazione ufficiale disponibile su un novero più ampio di casi; una rassegna della letteratura nazionale e internazionale. E’ stata prestata particolare attenzione a ricostruire: le vecchie e nuove geografie di agende urbane e di programmi nazionali per le città; la logica comune; i modelli, le teorie e i paradigmi prevalenti; il mainstreaming dei temi correnti; i processi di agenda-setting (la storia del percorso con cui la questione urbana è diventata un problema da trattare, a livello nazionale; come e quando la issue di un’Agenda urbana nazionale è emersa, è stata presa in esame ed è entrata a far parte dell’agenda politica istituzionale; a chi interessa, quali sono i suoi sostenitori e i suoi pubblici, ecc.); le relazioni tra esperti e rappresentanti del sistema politico e amministrativo, in dinamiche multilivello; le Agende come strumenti di politiche, esplorando in profondità i casi specifici dell’Agenda urbana Usa (un laboratorio del federalismo, tra spinte della pianificazione razionale e approcci interattivi) e Ue (lo stile dialogico-deliberativo nel gioco intergovernativo, tra tendenze tecnocratiche e spinte verso approcci più partecipativi e inclusivi). La ricerca è proseguita successivamente come progetto della Jean Monnet di cui sono stata titolare tra il 2016 e il 2019, arricchendosi di nuovi casi di studio, sfociando in un progetto editoriale in via di sottomissione a casa editrice internazionale (si tratta di un volume, cui hanno aderito ricercatori di università e centri di ricerca italiani, di paesi europei ed extra-europei). Le Agende urbane, nella loro veste istituzionale e codificazione esplicita – in forma di politiche discorsive e, più raramente, di scenari strategici e piani di azione – sono documenti insieme tecnici e politici, imbevuti di teorie scientifiche dello sviluppo urbano e orientati da presupposti ideologici, che hanno a che fare con diverse concezioni dell’organizzazione della società umana, e a volte con retoriche riproposte e ritualizzate da burocrazie inefficienti. In questo, le Agende urbane riflettono il percorso che le ha originate. Si tratta infatti di un campo di elaborazione nel quale la commistione di componenti tecniche e politiche è strutturale. Anche quando, sulla spinta di istanze inclusive, è stata prevista la consultazione di esponenti di rami della società civile e di rappresentanze di interessi organizzati, l’intreccio tra saperi esperti e apparati del potere politico-amministrativo si è mostrato un tratto prevalente. Ne è conseguito che le pratiche cooperative sono state di fatto governate da logiche (più o meno sottilmente) coercitive, mentre il modello del conflitto-consenso passava in secondo piano. E i margini di innovazione e apprendimento si sono ridotti, nella ricerca di un’ampia accettabilità delle idee di intervento e dei metodi di azione, su presupposti di consenso politico e esercizio amministrativo più che di confronto critico e di sperimentazione. Il peso della dimensione intellettuale (teorica, ideologica) si trova chiarito nella tesi di Lindblom in Politics and Markets [1977] che individua il modello sinottico e il modello strategico, in uno studio comparativo, come metodi alternativi di analisi e di direzione politica e programmazione. Ieri come oggi – pur con diverse combinazioni e nella crescente enfasi su approcci di tipo partecipativo – tratti dei due modelli caratterizzano il policy making delle Agende urbane e dei programmi nazionali di politica urbana. La difficoltà di operare il cambiamento per l’opposizione, interessata, di élite politiche e burocrazie è stata magistralmente spiegata da Bachrach e Baratz nella teoria del non decision making [1962] e dimostrata nello studio di caso su Baltimora [1970]. La tesi è ripresa da Fabrizio Barca nella parte introduttiva del documento di apertura del confronto pubblico su Metodi e obiettivi per un uso efficace dei fondi comunitari 2014- 2020, elaborato nel 2012 quando era a capo del dipartimento per la Coesione territoriale; le cosiddette trappole del non sviluppo che affliggono territori dell’Italia e in particolare del Mezzogiorno sono interpretate come risultato di scelte consapevoli di classi dirigenti locali e nazionali, dettate «dalla convenienza di estrarre un beneficio certo dalla conservazione dell’esistente […] anziché competere per un beneficio incerto in un contesto innovativo e in crescita […] In altri termini, l’azione pubblica è di cattiva qualità non per l’incapacità delle classi dirigenti che ne sono responsabili, ma per la loro espressa volontà» Sintetizzando, a uno sguardo comparativo diacronico e sincronico, dallo studio condotto emerge che: 1 i programmi nazionali per le aree urbane costituiscono un campo di sperimentazione dell’azione pubblica altamente esposto alla produzione di effetti indesiderati e insuccessi. Questo si spiega almeno in parte in relazione a due fattori: la natura difficile dei problemi che trattano (terreno di pressioni economiche, conflitti sociali, e complicati equilibri di consenso politico); la logica di funzionamento con cui sono stati concepiti (nella prevalente impostazione tecnocratica e nella sottovalutazione degli aspetti di implementazione, di leadership, di pubblico dibattito); 2 non necessariamente la formulazione di Agende urbane avviene contestualmente alla messa in opera di politiche urbane e di programmi per le città, concepiti a livello del governo nazionale come un insieme coordinato di azioni orientato a affrontare una questione (urbana) che è emersa nazionalmente come problema collettivo; 3 il governo federale statunitense, i governi nazionali britannico, francese e olandese, la Repubblica popolare cinese sono tra i (pochi) paesi che presentano una storia di politica urbana nazionale esplicita, di lunga data (circa un cinquantennio, ricostruito nella letteratura scientifica, per fasi). Per entità degli investimenti, esiti (tra alterni successi e fallimenti), attenzione politica e dell’opinione pubblica, per molti anni hanno costituito il principale riferimento per altri, diventando così i modelli più influenti, per stile e caratteri del policy making (il che spiega, a esempio, la fortuna del potente costrutto di area problema, vettore per approcci area-based, e la successiva svolta verso metodi che valorizzano le risorse endogene, secondo un approccio placebased); 4 oggi il quadro si presenta profondamente mutato e una nuova geografia si compone su scala mondiale: vi è un incremento nel numero dei paesi che si sono dotati di un’Agenda urbana, e una significativa espansione di programmi nazionali di politiche urbane, in diverse aree del mondo, pur nel quadro di percentuali di popolazione urbana e di trend di urbanizzazione diversi. Da un monitoraggio recente (Un-Habitat), emergono le esperienze realizzate e in corso in Stati dell’Africa (Angola, Burkina Faso, Burundi, Etiopia, Ghana, Kenya, Mali, Marocco, Nigeria, Sud Africa, Uganda, Zambia), dell’America Latina (Brasile, Cile), dell’Asia (Cina, India, Filippine, Sud Corea, Vietnam), dell’Oceania (Australia, Samoa), dell’Europa (Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Olanda, Regno Unito). In aggiunta, vanno considerati i programmi di politiche urbane lanciati a livello nazionale da Spagna, Portogallo, Italia, Norvegia, Polonia, Bulgaria, Canada, Stati Uniti; in molti stati, lo stimolo o l’occasione viene da istituzioni sovranazionali come la Commissione europea, che sta svolgendo un ruolo propulsore per vari stati membri dell’Unione (nell’ambito del ventennale processo di definizione di un’Agenda urbana europea e della nuova politica di coesione 2014-2020) ed extraeuropei (nell’ambito delle politiche di cooperazione allo sviluppo), o da organismi internazionali come le Nazioni unite con il programma Un-Habitat (volto principalmente ma non esclusivamente ai paesi in via di sviluppo e emergenti di Asia e Africa, America Latina). Un-Habitat assieme con l’Oecd , in particolare, affianca alla produzione di studi e analisi sullo sviluppo urbano azioni di orientamento e supporto sul campo, in condivisione con i governi urbani e nazionali interessati; 5 l’ago della bilancia si è decisamente spostato, anche nella letteratura internazionale di studi urbani: l’enfasi su traiettorie di sviluppo urbano e metropolitane in aree emergenti dell’Asia, dell’Africa, dell’America Latina, ecc., sembra accompagnarsi a un disinvestimento dell’attenzione alle città del vecchio occidente europeo e degli Stati Uniti. Si fanno strada interpretazioni che sostengono la tesi della perdita di attualità politica, economica, culturale (oltre che di centralità) del vecchio mondo occidentale, soprattutto europeo. L’argomento ricorrente è la minore competitività e attrattività, sul piano della capacità innovativa; ma, il problema più profondo emerge sul piano simbolico, di rappresentazione dello spirito dei tempi.

Modelli : le Agende urbane nazionali ed europea

Gelli, Francesca
2016-01-01

Abstract

Il saggio costituisce la prima tappa di una ricerca comparativa sulle Agende Urbane Nazionali, di iniziativa istituzionale, analizzate come politiche discorsive e strategiche nella loro evoluzione dagli anni ’60 del secolo scorso a oggi, che traccia una vecchia e nuova geografia. L’indagine è stata svolta nell’ambito del Centro Nazionale Italiano per lo studio delle politiche urbane (Urban@it). Lo studio condotto si è basato su: una selezione di casi, su cui sono stati prodotti approfondimenti empirici (Stati Uniti, Unione Europea, Cina, Brasile, Angola, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna, Portogallo, Italia); letture comparate su temi trasversali dell’Agenda europea (città e cooperazione allo sviluppo; strategie di adattamento climatico e sviluppo urbano sostenibile); analisi della documentazione ufficiale disponibile su un novero più ampio di casi; una rassegna della letteratura nazionale e internazionale. E’ stata prestata particolare attenzione a ricostruire: le vecchie e nuove geografie di agende urbane e di programmi nazionali per le città; la logica comune; i modelli, le teorie e i paradigmi prevalenti; il mainstreaming dei temi correnti; i processi di agenda-setting (la storia del percorso con cui la questione urbana è diventata un problema da trattare, a livello nazionale; come e quando la issue di un’Agenda urbana nazionale è emersa, è stata presa in esame ed è entrata a far parte dell’agenda politica istituzionale; a chi interessa, quali sono i suoi sostenitori e i suoi pubblici, ecc.); le relazioni tra esperti e rappresentanti del sistema politico e amministrativo, in dinamiche multilivello; le Agende come strumenti di politiche, esplorando in profondità i casi specifici dell’Agenda urbana Usa (un laboratorio del federalismo, tra spinte della pianificazione razionale e approcci interattivi) e Ue (lo stile dialogico-deliberativo nel gioco intergovernativo, tra tendenze tecnocratiche e spinte verso approcci più partecipativi e inclusivi). La ricerca è proseguita successivamente come progetto della Jean Monnet di cui sono stata titolare tra il 2016 e il 2019, arricchendosi di nuovi casi di studio, sfociando in un progetto editoriale in via di sottomissione a casa editrice internazionale (si tratta di un volume, cui hanno aderito ricercatori di università e centri di ricerca italiani, di paesi europei ed extra-europei). Le Agende urbane, nella loro veste istituzionale e codificazione esplicita – in forma di politiche discorsive e, più raramente, di scenari strategici e piani di azione – sono documenti insieme tecnici e politici, imbevuti di teorie scientifiche dello sviluppo urbano e orientati da presupposti ideologici, che hanno a che fare con diverse concezioni dell’organizzazione della società umana, e a volte con retoriche riproposte e ritualizzate da burocrazie inefficienti. In questo, le Agende urbane riflettono il percorso che le ha originate. Si tratta infatti di un campo di elaborazione nel quale la commistione di componenti tecniche e politiche è strutturale. Anche quando, sulla spinta di istanze inclusive, è stata prevista la consultazione di esponenti di rami della società civile e di rappresentanze di interessi organizzati, l’intreccio tra saperi esperti e apparati del potere politico-amministrativo si è mostrato un tratto prevalente. Ne è conseguito che le pratiche cooperative sono state di fatto governate da logiche (più o meno sottilmente) coercitive, mentre il modello del conflitto-consenso passava in secondo piano. E i margini di innovazione e apprendimento si sono ridotti, nella ricerca di un’ampia accettabilità delle idee di intervento e dei metodi di azione, su presupposti di consenso politico e esercizio amministrativo più che di confronto critico e di sperimentazione. Il peso della dimensione intellettuale (teorica, ideologica) si trova chiarito nella tesi di Lindblom in Politics and Markets [1977] che individua il modello sinottico e il modello strategico, in uno studio comparativo, come metodi alternativi di analisi e di direzione politica e programmazione. Ieri come oggi – pur con diverse combinazioni e nella crescente enfasi su approcci di tipo partecipativo – tratti dei due modelli caratterizzano il policy making delle Agende urbane e dei programmi nazionali di politica urbana. La difficoltà di operare il cambiamento per l’opposizione, interessata, di élite politiche e burocrazie è stata magistralmente spiegata da Bachrach e Baratz nella teoria del non decision making [1962] e dimostrata nello studio di caso su Baltimora [1970]. La tesi è ripresa da Fabrizio Barca nella parte introduttiva del documento di apertura del confronto pubblico su Metodi e obiettivi per un uso efficace dei fondi comunitari 2014- 2020, elaborato nel 2012 quando era a capo del dipartimento per la Coesione territoriale; le cosiddette trappole del non sviluppo che affliggono territori dell’Italia e in particolare del Mezzogiorno sono interpretate come risultato di scelte consapevoli di classi dirigenti locali e nazionali, dettate «dalla convenienza di estrarre un beneficio certo dalla conservazione dell’esistente […] anziché competere per un beneficio incerto in un contesto innovativo e in crescita […] In altri termini, l’azione pubblica è di cattiva qualità non per l’incapacità delle classi dirigenti che ne sono responsabili, ma per la loro espressa volontà» Sintetizzando, a uno sguardo comparativo diacronico e sincronico, dallo studio condotto emerge che: 1 i programmi nazionali per le aree urbane costituiscono un campo di sperimentazione dell’azione pubblica altamente esposto alla produzione di effetti indesiderati e insuccessi. Questo si spiega almeno in parte in relazione a due fattori: la natura difficile dei problemi che trattano (terreno di pressioni economiche, conflitti sociali, e complicati equilibri di consenso politico); la logica di funzionamento con cui sono stati concepiti (nella prevalente impostazione tecnocratica e nella sottovalutazione degli aspetti di implementazione, di leadership, di pubblico dibattito); 2 non necessariamente la formulazione di Agende urbane avviene contestualmente alla messa in opera di politiche urbane e di programmi per le città, concepiti a livello del governo nazionale come un insieme coordinato di azioni orientato a affrontare una questione (urbana) che è emersa nazionalmente come problema collettivo; 3 il governo federale statunitense, i governi nazionali britannico, francese e olandese, la Repubblica popolare cinese sono tra i (pochi) paesi che presentano una storia di politica urbana nazionale esplicita, di lunga data (circa un cinquantennio, ricostruito nella letteratura scientifica, per fasi). Per entità degli investimenti, esiti (tra alterni successi e fallimenti), attenzione politica e dell’opinione pubblica, per molti anni hanno costituito il principale riferimento per altri, diventando così i modelli più influenti, per stile e caratteri del policy making (il che spiega, a esempio, la fortuna del potente costrutto di area problema, vettore per approcci area-based, e la successiva svolta verso metodi che valorizzano le risorse endogene, secondo un approccio placebased); 4 oggi il quadro si presenta profondamente mutato e una nuova geografia si compone su scala mondiale: vi è un incremento nel numero dei paesi che si sono dotati di un’Agenda urbana, e una significativa espansione di programmi nazionali di politiche urbane, in diverse aree del mondo, pur nel quadro di percentuali di popolazione urbana e di trend di urbanizzazione diversi. Da un monitoraggio recente (Un-Habitat), emergono le esperienze realizzate e in corso in Stati dell’Africa (Angola, Burkina Faso, Burundi, Etiopia, Ghana, Kenya, Mali, Marocco, Nigeria, Sud Africa, Uganda, Zambia), dell’America Latina (Brasile, Cile), dell’Asia (Cina, India, Filippine, Sud Corea, Vietnam), dell’Oceania (Australia, Samoa), dell’Europa (Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Olanda, Regno Unito). In aggiunta, vanno considerati i programmi di politiche urbane lanciati a livello nazionale da Spagna, Portogallo, Italia, Norvegia, Polonia, Bulgaria, Canada, Stati Uniti; in molti stati, lo stimolo o l’occasione viene da istituzioni sovranazionali come la Commissione europea, che sta svolgendo un ruolo propulsore per vari stati membri dell’Unione (nell’ambito del ventennale processo di definizione di un’Agenda urbana europea e della nuova politica di coesione 2014-2020) ed extraeuropei (nell’ambito delle politiche di cooperazione allo sviluppo), o da organismi internazionali come le Nazioni unite con il programma Un-Habitat (volto principalmente ma non esclusivamente ai paesi in via di sviluppo e emergenti di Asia e Africa, America Latina). Un-Habitat assieme con l’Oecd , in particolare, affianca alla produzione di studi e analisi sullo sviluppo urbano azioni di orientamento e supporto sul campo, in condivisione con i governi urbani e nazionali interessati; 5 l’ago della bilancia si è decisamente spostato, anche nella letteratura internazionale di studi urbani: l’enfasi su traiettorie di sviluppo urbano e metropolitane in aree emergenti dell’Asia, dell’Africa, dell’America Latina, ecc., sembra accompagnarsi a un disinvestimento dell’attenzione alle città del vecchio occidente europeo e degli Stati Uniti. Si fanno strada interpretazioni che sostengono la tesi della perdita di attualità politica, economica, culturale (oltre che di centralità) del vecchio mondo occidentale, soprattutto europeo. L’argomento ricorrente è la minore competitività e attrattività, sul piano della capacità innovativa; ma, il problema più profondo emerge sul piano simbolico, di rappresentazione dello spirito dei tempi.
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
Gelli agende urbane comparate 2016.pdf

non disponibili

Descrizione: Saggio
Tipologia: Versione Editoriale
Licenza: Accesso ristretto
Dimensione 8.74 MB
Formato Adobe PDF
8.74 MB Adobe PDF   Visualizza/Apri   Richiedi una copia

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11578/265238
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact