Come nasce l’attuale spazio pubblico Nel 1962, in Guide to modern architecture, Reyner Banham auspicava per l’architettura un cambiamento genetico; partendo dall’assunto secondo il quale il termine architettura non comprende solo gli edifici ma più in generale tutto ciò che dà protezione e rifugio all’uomo, il critico inglese ipotizzava un allargamento generalizzato dei confini della disciplina, fino a includervi l’arte, il design, la tecnologia e il comportamento sociale. Un’ipotesi radicale che ha permeato tutti gli anni Sessanta, sintetizzabile nell’apodittico motto di Hans Hollein ‘tutto è architettura’ (come recita il titolo stesso del suo Alles ist Architektur, «Bau», 1968, 1-2, pp. 1-32). Profezia oggi in massima parte avverata, ma con modalità ben diverse da quanto preconizzato da Banham e da Hollein. L’allargamento dei confini della disciplina, infatti, non è avvenuto attraverso una rivoluzione, ma più prosaicamente attraverso quella che si potrebbe definire una ‘liberalizzazione dal basso’, dagli effetti contraddittori. Se questo è valido per gli edifici, diverso è il discorso per quel che riguarda gli spazi pubblici: qui gli effetti della rifondazione disciplinare sono stati più evidenti, tanto che l’attuale natura dello spazio pubblico deriva proprio dalla profezia di Banham e da come questa abbia permesso la definitiva emancipazione degli spazi pubblici dalle quinte edilizie e dalle regole del decoro urbano.
Città e spazio pubblico
Valerio Paolo Mosco
2010-01-01
Abstract
Come nasce l’attuale spazio pubblico Nel 1962, in Guide to modern architecture, Reyner Banham auspicava per l’architettura un cambiamento genetico; partendo dall’assunto secondo il quale il termine architettura non comprende solo gli edifici ma più in generale tutto ciò che dà protezione e rifugio all’uomo, il critico inglese ipotizzava un allargamento generalizzato dei confini della disciplina, fino a includervi l’arte, il design, la tecnologia e il comportamento sociale. Un’ipotesi radicale che ha permeato tutti gli anni Sessanta, sintetizzabile nell’apodittico motto di Hans Hollein ‘tutto è architettura’ (come recita il titolo stesso del suo Alles ist Architektur, «Bau», 1968, 1-2, pp. 1-32). Profezia oggi in massima parte avverata, ma con modalità ben diverse da quanto preconizzato da Banham e da Hollein. L’allargamento dei confini della disciplina, infatti, non è avvenuto attraverso una rivoluzione, ma più prosaicamente attraverso quella che si potrebbe definire una ‘liberalizzazione dal basso’, dagli effetti contraddittori. Se questo è valido per gli edifici, diverso è il discorso per quel che riguarda gli spazi pubblici: qui gli effetti della rifondazione disciplinare sono stati più evidenti, tanto che l’attuale natura dello spazio pubblico deriva proprio dalla profezia di Banham e da come questa abbia permesso la definitiva emancipazione degli spazi pubblici dalle quinte edilizie e dalle regole del decoro urbano.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.