Sebbene San Petronio costituisca un’architettura di fondamentale importanza per il gotico italiano, per decenni la storiografia si è disinteressata ai quesiti rimasti aperti riguardo alla complessa genesi e alla lunghissima vicenda costruttiva. A pubblicare i documenti d’archivio sulla fabbrica è stato principalmente Angelo Gatti, che tuttavia non ha fatto un lavoro sistematico, ma li ha editi in modo frammentario in sedi diverse, tanto che fino a questo momento non erano stati riordinati e interpretati in maniera adeguata. In base a tali documenti, intrecciati con altre fonti grafiche, scritte e materiali (in primis l’edificio stesso), l’autrice propone un’aggiornata analisi sull’architettura della basilica, contestualizzandola nel panorama italiano, e propone una ricostruzione del cantiere nei primi cento anni di lavori: una fase fondamentale, perché ci descrive in modo dettagliato un iter costruttivo tutt’altro che lineare e perché definisce l’assetto dell’edificio che resterà immutato per centocinquant’anni fino ai ben noti interventi seicenteschi che sanciscono la conclusione definitiva del cantiere, escludendo ulteriori ampliamenti, fino a quel momento utopisticamente vagheggia. Fondata nel 1390 su progetto di Antonio di Vincenzo, in collaborazione con il dotto servita Andrea Manfredi da Faenza, le prime due campate della chiesa furono innalzate finché l’architetto era in vita, confermandoci che il corpo longitudinale segue il suo progetto, mentre assai poco possiamo dire riguardo al transetto, mai costruito nonostante Antonio avesse realizzato un modello a grande scala, descritto dai documenti, che ci tramanda le misure che avrebbe dovuto assumere l’edificio una volta finito: oltre 182 x 137 m.. Scomparso Antonio nel 1402, i lavori – iniziati dalla facciata - procedono a rilento per campagne successive distanziate da lunghi intervalli temporali: quando una fase viene conclusa si costruisce un muro provvisorio di chiusura e si allestisce in modo effimero un presbiterio. La copertura è provvisoriamente a capriate sulla navata centrale, mentre per le navate e le cappelle laterali si realizzano subito le volte ogivali. Entro il 1470 si sono realizzate cinque campate e si è proceduto a un allestimento più impegnativo rispetto alle fasi precedenti: nell’ultima campata della navata centrale, separata da quelle laterali tramite “murelli”, viene costruito un emiciclo absidale in canniccio intonacato e affrescato, all’interno del quale viene allestito il coro ligneo e si allestisce il presbiterio, chiuso da un’inferriata appositamente commissionata. Nel nono decennio del Quattrocento, al di là del muro terminale della chiesa si costruiscono le undicesime cappelle, adibite inizialmente ad ambienti di servizio per i religiosi. Solo nel XVII l’incannicciata verrà smantellata, costruendo la sesta campata con un emiciclo absidale in muratura sporgente dal perimetro della chiesa.

Il cantiere di San Petronio nel primo secolo di vita : "La più magna e bella de crestianitade"

Maria Teresa Sambin De Norcen
2020-01-01

Abstract

Sebbene San Petronio costituisca un’architettura di fondamentale importanza per il gotico italiano, per decenni la storiografia si è disinteressata ai quesiti rimasti aperti riguardo alla complessa genesi e alla lunghissima vicenda costruttiva. A pubblicare i documenti d’archivio sulla fabbrica è stato principalmente Angelo Gatti, che tuttavia non ha fatto un lavoro sistematico, ma li ha editi in modo frammentario in sedi diverse, tanto che fino a questo momento non erano stati riordinati e interpretati in maniera adeguata. In base a tali documenti, intrecciati con altre fonti grafiche, scritte e materiali (in primis l’edificio stesso), l’autrice propone un’aggiornata analisi sull’architettura della basilica, contestualizzandola nel panorama italiano, e propone una ricostruzione del cantiere nei primi cento anni di lavori: una fase fondamentale, perché ci descrive in modo dettagliato un iter costruttivo tutt’altro che lineare e perché definisce l’assetto dell’edificio che resterà immutato per centocinquant’anni fino ai ben noti interventi seicenteschi che sanciscono la conclusione definitiva del cantiere, escludendo ulteriori ampliamenti, fino a quel momento utopisticamente vagheggia. Fondata nel 1390 su progetto di Antonio di Vincenzo, in collaborazione con il dotto servita Andrea Manfredi da Faenza, le prime due campate della chiesa furono innalzate finché l’architetto era in vita, confermandoci che il corpo longitudinale segue il suo progetto, mentre assai poco possiamo dire riguardo al transetto, mai costruito nonostante Antonio avesse realizzato un modello a grande scala, descritto dai documenti, che ci tramanda le misure che avrebbe dovuto assumere l’edificio una volta finito: oltre 182 x 137 m.. Scomparso Antonio nel 1402, i lavori – iniziati dalla facciata - procedono a rilento per campagne successive distanziate da lunghi intervalli temporali: quando una fase viene conclusa si costruisce un muro provvisorio di chiusura e si allestisce in modo effimero un presbiterio. La copertura è provvisoriamente a capriate sulla navata centrale, mentre per le navate e le cappelle laterali si realizzano subito le volte ogivali. Entro il 1470 si sono realizzate cinque campate e si è proceduto a un allestimento più impegnativo rispetto alle fasi precedenti: nell’ultima campata della navata centrale, separata da quelle laterali tramite “murelli”, viene costruito un emiciclo absidale in canniccio intonacato e affrescato, all’interno del quale viene allestito il coro ligneo e si allestisce il presbiterio, chiuso da un’inferriata appositamente commissionata. Nel nono decennio del Quattrocento, al di là del muro terminale della chiesa si costruiscono le undicesime cappelle, adibite inizialmente ad ambienti di servizio per i religiosi. Solo nel XVII l’incannicciata verrà smantellata, costruendo la sesta campata con un emiciclo absidale in muratura sporgente dal perimetro della chiesa.
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