Benedetto Croce poneva, come problema centrale della sua Estetica, il passaggio dalla ideazione alla espressione. Disponiamo di una vasta letteratura sia di trattazione teorica sia, e si tratta spesso delle pagine più interessanti, di esplicitazione poetica individuale. Ognuno di noi ha tracciato proprie personali traiettorie nella ricerca delle strategie che, nel tempo, autori diversi hanno perseguito nel tentativo di legare “l’espressione alla idea” in modo razionale, addirittura provando a definire un metodo trasmissibile. La nostra disciplina, per la propria ibrida natura, sconta una specificità del progetto, laddove l’idea deve necessariamente esprimersi attraverso una mediazione fortemente condizionante: la dolente fisicità della costruzione (o della costruibilità, che è egualmente, a mio avviso, condizione imprescindibile perché si possa parlare di Architettura); per noi architetti, il passaggio dalla ideazione, dal nucleo formale generatore alla descrizione definita dal progetto, è un percorso non libero né lineare, in continua interlocuzione con condizionamenti strutturali quali, ad esempio i costi, le morfologie e le storie dei luoghi, le tecniche, le destinazioni d’uso, i tempi, le committenze, i regolamenti. Potremmo insistere nell’elencare tutti i vincoli che intervengono sull’“espressione”, ma credo che la sintesi più efficace sia ancora quella, millenaria, che dobbiamo a Vitruvio: l’Architettura come compromesso, riuscito o meno tra Firmitas, Utilitas e Venustas.

Esercizi compositivi

GIANI, ESTHER
2010-01-01

Abstract

Benedetto Croce poneva, come problema centrale della sua Estetica, il passaggio dalla ideazione alla espressione. Disponiamo di una vasta letteratura sia di trattazione teorica sia, e si tratta spesso delle pagine più interessanti, di esplicitazione poetica individuale. Ognuno di noi ha tracciato proprie personali traiettorie nella ricerca delle strategie che, nel tempo, autori diversi hanno perseguito nel tentativo di legare “l’espressione alla idea” in modo razionale, addirittura provando a definire un metodo trasmissibile. La nostra disciplina, per la propria ibrida natura, sconta una specificità del progetto, laddove l’idea deve necessariamente esprimersi attraverso una mediazione fortemente condizionante: la dolente fisicità della costruzione (o della costruibilità, che è egualmente, a mio avviso, condizione imprescindibile perché si possa parlare di Architettura); per noi architetti, il passaggio dalla ideazione, dal nucleo formale generatore alla descrizione definita dal progetto, è un percorso non libero né lineare, in continua interlocuzione con condizionamenti strutturali quali, ad esempio i costi, le morfologie e le storie dei luoghi, le tecniche, le destinazioni d’uso, i tempi, le committenze, i regolamenti. Potremmo insistere nell’elencare tutti i vincoli che intervengono sull’“espressione”, ma credo che la sintesi più efficace sia ancora quella, millenaria, che dobbiamo a Vitruvio: l’Architettura come compromesso, riuscito o meno tra Firmitas, Utilitas e Venustas.
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