A partire dalla fine della guerra, l'attività architettonica in Italia si è basata sul rapporto indissociabile tra teoria, progettazione e costruzione almeno fino alla cosiddetta “condizione postmoderna”. La crisi attuale -segnata dalla necessità di adattare l'offerta professionale al ridimensionamento e trasformazione della domanda- ha trasformato sia economicamente sia culturalmente il mestiere dell'architetto in una professione tra le altre, in concorrenza con figure ritenute sovrapponibili in un mercato sempre più esiguo. Effetto di questa situazione a cui corrisponde oggi un numero di architetti che non ha eguali in Europa, è la riduzione del valore dell’architettura come pratica artistica con un portato specifico sulla realtà,. L'architetto si è trasformato spesso in un sostituibile fornitore di servizi o in alcuni casi un imprenditore. Quali le cause? Innanzitutto a partire dagli anni 80 -con l'indebolimento del riferimento al Progetto Moderno- il mondo accademico si è in parte concentrato sullo sviluppo di un sapere teorico che ideologicamente ha allontanato la pratica del costruire come estranea all'insegnamento e alla ricerca. In secondo luogo, insieme alla progressiva marginalizzazione dell'architettura italiana nel contesto europeo, la burocratizzazione del processo progettuale e l’ipertrofia dell’apparato normativo ha privilegiato requisiti prestazionali e tecnici rispetto alla ricerca e al significato culturale del fare. Le rare forme di resistenza a tale tendenza si devono oggi agli architetti in grado di lavorare sul progetto concreto come strumento di indagine e interpretazione del mondo, riconnettendolo alla teoria, alla ricerca, all'insegnamento come trasmissione dell’esperienza e verifica, oltre che alla responsabilità disciplinare ed etica. Di fronte alla burocratizzazione della professione, il ruolo dell’università può ritornare ad essere centrale in questo rapporto tra architettura come lavoro concreto e sua irrinunciabile appartenenza alla cultura colta, al suo significato disciplinare e alla sua propria finalità di pratica sociale.

Una questione di identità : rapporto sulla trasformazione degli studi di architettura italiani negli ultimi vent'anni

Morpurgo G
2016-01-01

Abstract

A partire dalla fine della guerra, l'attività architettonica in Italia si è basata sul rapporto indissociabile tra teoria, progettazione e costruzione almeno fino alla cosiddetta “condizione postmoderna”. La crisi attuale -segnata dalla necessità di adattare l'offerta professionale al ridimensionamento e trasformazione della domanda- ha trasformato sia economicamente sia culturalmente il mestiere dell'architetto in una professione tra le altre, in concorrenza con figure ritenute sovrapponibili in un mercato sempre più esiguo. Effetto di questa situazione a cui corrisponde oggi un numero di architetti che non ha eguali in Europa, è la riduzione del valore dell’architettura come pratica artistica con un portato specifico sulla realtà,. L'architetto si è trasformato spesso in un sostituibile fornitore di servizi o in alcuni casi un imprenditore. Quali le cause? Innanzitutto a partire dagli anni 80 -con l'indebolimento del riferimento al Progetto Moderno- il mondo accademico si è in parte concentrato sullo sviluppo di un sapere teorico che ideologicamente ha allontanato la pratica del costruire come estranea all'insegnamento e alla ricerca. In secondo luogo, insieme alla progressiva marginalizzazione dell'architettura italiana nel contesto europeo, la burocratizzazione del processo progettuale e l’ipertrofia dell’apparato normativo ha privilegiato requisiti prestazionali e tecnici rispetto alla ricerca e al significato culturale del fare. Le rare forme di resistenza a tale tendenza si devono oggi agli architetti in grado di lavorare sul progetto concreto come strumento di indagine e interpretazione del mondo, riconnettendolo alla teoria, alla ricerca, all'insegnamento come trasmissione dell’esperienza e verifica, oltre che alla responsabilità disciplinare ed etica. Di fronte alla burocratizzazione della professione, il ruolo dell’università può ritornare ad essere centrale in questo rapporto tra architettura come lavoro concreto e sua irrinunciabile appartenenza alla cultura colta, al suo significato disciplinare e alla sua propria finalità di pratica sociale.
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