Il rinnovamento architettonico in chiave rinascimentale avviene nella basilica del Santo grazie a fondamentali interventi di allestimento interno, piuttosto che a grandi opere costruttive. Il saggio rilegge tali operazioni grazie alla documentazione archivistica edita e all’analisi delle fonti materiali, fornendone un’interpretazione in molti aspetti radicalmente nuova. A partire dal 1443 è profondamente ammodernata l’area del capocroce della basilica, dove si costruisce un nuovo coro in sostituzione del precedente. Sappiamo dalle fonti che il coro del XV secolo era chiuso da alte pareti rivestite in marmo su tre lati, sul terzo unito al presbiterio senza soluzione di continuità. Il coro – smantellato nel 1651 in adeguamento alle nuove consuetudini liturgiche – era preceduto da una pergola costituita da archi su colonne, una sorta di “iconostasi” sulla quale campeggiava il Crocifisso bronzeo di Donatello, situata tra i piloni posteriori della crociera. L’attribuzione del disegno architettonico dell’insieme al grande scultore fiorentino è stata proposta per la prima volta da Bernardo Gonzati a metà dell’Ottocento, per essere poi rigettata con decisione e poi – ripresa in considerazione - è divenuta oggetto di dibattito storiografico. Come dimostra il presente saggio, l’attribuzione è confermata dalle fonti documentarie e dai pezzi tuttora superstiti nella basilica, sebbene diversamente collocati, fortemente improntati al linguaggio personalissimo dell’artista. Ma le ipotesi formulate dall’autrice si spingono oltre Come ben noto Donatello dal 1446 iniziò al Santo la realizzazione di un rivoluzionario altare tridimensionale, portato a compimento in circa tre anni: un’edicola anticheggiante che ospitava sette statue a scala umana; anch’essa smontata, ne sopravvive soltanto la decorazione scultorea e pochissimi frammenti architettonici. La storiografia ha sempre ipotizzato che Donatello sia arrivato a Padova quasi per caso, nonostante la pletora di incarichi che lo incalzavano in diverse parti d’Italia, e abbia cominciato a ricevere commissioni in città in modo discontinuo. La tesi che qui si argomenta è che lo scultore sia stato chiamato dalla Veneranda Arca del Santo (la fabbriceria) per mettere a punto un progetto complessivo che comprendeva la pergola, il coro e l’altare, pensati fin dall’inizio come un unico intervento, realizzato nel corso di un decennio: diversi indizi ci spingono in questo senso, primo fra tutti la progettazione per successivi schermi trasparenti che va a caratterizzare l’insieme, e il forte coinvolgimento emotivo dello spettatore, ottenuto grazie all’ambigua continuità tra lo spazio delle statue e quello in cui si muove il visitatore. La seconda parte del saggio è dedicata al radicale rinnovamento della cappella dell’Arca del Santo deciso nel 1497, realizzato a partire dal 1500 e unanimemente attribuito a Tullio Lombardo anche nel progetto architettonico, forse in collaborazione con il fratello Antonio. Se sotto tale aspetto sembrano non esserci dubbi, non era stato finora notato è come all’avvio dei lavori esistesse un primo progetto, probabilmente redatto dal capomastro Giovanni Minello, uomo di fiducia dei fabbricieri, che sarà poi a capo del cantiere: la nuova cappella avrebbe dovuto esemplarsi su quella trecentesca dedicata a San Giacomo che la fronteggia nel braccio opposto del transetto, utilizzando colonne di broccatello di Verona, cui si sarebbe dovuta aggiungere una profusione dei più pregiati marmi policromi. Dopo i primi contatti della Veneranda Arca con i Lombardo, il progetto cambia radicalmente, virando sul marmo di Carrara, la materia della Roma imperiale, e fornendo una rilettura - basata sullo schema dell’antico arco di trionfo - del tema della loggia illusionisticamente sfondata verso l’esterno, che già apparteneva alle cappelle antoniane precedenti; negli sfondi, oltre ai bassorilievi dei Miracoli di Sant’Antonio, reinterpretati in chiave decisamente classicheggiante, gioca un ruolo fondamentale la prospettiva, caratterizzata dal policentrismo delle scene, caratteristico dell’Italia settentrionale, ma anche funzionale al percorso dei pellegrini in movimento. Grazie a un disegno ingegnoso e accurato, Tullio riesce a realizzare la perfetta integrazione fra architettura fittizia e reale, ricca di richiami al repertorio lagunare, cui proprio la bottega dei Lombardo aveva dato un contributo fondamentale.
L’allestimento architettonico rinascimentale. I contributi di Donatello e Tullio Lombardo
SAMBIN DE NORCEN, Maria Teresa
2021-01-01
Abstract
Il rinnovamento architettonico in chiave rinascimentale avviene nella basilica del Santo grazie a fondamentali interventi di allestimento interno, piuttosto che a grandi opere costruttive. Il saggio rilegge tali operazioni grazie alla documentazione archivistica edita e all’analisi delle fonti materiali, fornendone un’interpretazione in molti aspetti radicalmente nuova. A partire dal 1443 è profondamente ammodernata l’area del capocroce della basilica, dove si costruisce un nuovo coro in sostituzione del precedente. Sappiamo dalle fonti che il coro del XV secolo era chiuso da alte pareti rivestite in marmo su tre lati, sul terzo unito al presbiterio senza soluzione di continuità. Il coro – smantellato nel 1651 in adeguamento alle nuove consuetudini liturgiche – era preceduto da una pergola costituita da archi su colonne, una sorta di “iconostasi” sulla quale campeggiava il Crocifisso bronzeo di Donatello, situata tra i piloni posteriori della crociera. L’attribuzione del disegno architettonico dell’insieme al grande scultore fiorentino è stata proposta per la prima volta da Bernardo Gonzati a metà dell’Ottocento, per essere poi rigettata con decisione e poi – ripresa in considerazione - è divenuta oggetto di dibattito storiografico. Come dimostra il presente saggio, l’attribuzione è confermata dalle fonti documentarie e dai pezzi tuttora superstiti nella basilica, sebbene diversamente collocati, fortemente improntati al linguaggio personalissimo dell’artista. Ma le ipotesi formulate dall’autrice si spingono oltre Come ben noto Donatello dal 1446 iniziò al Santo la realizzazione di un rivoluzionario altare tridimensionale, portato a compimento in circa tre anni: un’edicola anticheggiante che ospitava sette statue a scala umana; anch’essa smontata, ne sopravvive soltanto la decorazione scultorea e pochissimi frammenti architettonici. La storiografia ha sempre ipotizzato che Donatello sia arrivato a Padova quasi per caso, nonostante la pletora di incarichi che lo incalzavano in diverse parti d’Italia, e abbia cominciato a ricevere commissioni in città in modo discontinuo. La tesi che qui si argomenta è che lo scultore sia stato chiamato dalla Veneranda Arca del Santo (la fabbriceria) per mettere a punto un progetto complessivo che comprendeva la pergola, il coro e l’altare, pensati fin dall’inizio come un unico intervento, realizzato nel corso di un decennio: diversi indizi ci spingono in questo senso, primo fra tutti la progettazione per successivi schermi trasparenti che va a caratterizzare l’insieme, e il forte coinvolgimento emotivo dello spettatore, ottenuto grazie all’ambigua continuità tra lo spazio delle statue e quello in cui si muove il visitatore. La seconda parte del saggio è dedicata al radicale rinnovamento della cappella dell’Arca del Santo deciso nel 1497, realizzato a partire dal 1500 e unanimemente attribuito a Tullio Lombardo anche nel progetto architettonico, forse in collaborazione con il fratello Antonio. Se sotto tale aspetto sembrano non esserci dubbi, non era stato finora notato è come all’avvio dei lavori esistesse un primo progetto, probabilmente redatto dal capomastro Giovanni Minello, uomo di fiducia dei fabbricieri, che sarà poi a capo del cantiere: la nuova cappella avrebbe dovuto esemplarsi su quella trecentesca dedicata a San Giacomo che la fronteggia nel braccio opposto del transetto, utilizzando colonne di broccatello di Verona, cui si sarebbe dovuta aggiungere una profusione dei più pregiati marmi policromi. Dopo i primi contatti della Veneranda Arca con i Lombardo, il progetto cambia radicalmente, virando sul marmo di Carrara, la materia della Roma imperiale, e fornendo una rilettura - basata sullo schema dell’antico arco di trionfo - del tema della loggia illusionisticamente sfondata verso l’esterno, che già apparteneva alle cappelle antoniane precedenti; negli sfondi, oltre ai bassorilievi dei Miracoli di Sant’Antonio, reinterpretati in chiave decisamente classicheggiante, gioca un ruolo fondamentale la prospettiva, caratterizzata dal policentrismo delle scene, caratteristico dell’Italia settentrionale, ma anche funzionale al percorso dei pellegrini in movimento. Grazie a un disegno ingegnoso e accurato, Tullio riesce a realizzare la perfetta integrazione fra architettura fittizia e reale, ricca di richiami al repertorio lagunare, cui proprio la bottega dei Lombardo aveva dato un contributo fondamentale.File | Dimensione | Formato | |
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