La storia del design può essere collocata dunque dentro il più vasto ambito della cultura materiale, cioè delle manifestazioni dell’agire umano, in cui un aspetto tecnico ed empirico è unito a uno artistico- creativo-progettuale. Dove la componente fabbrile, del fare concreto, è collegata a quella intellettuale, che fornisce significato e valore latu sensu agli artefatti. L’uomo ha sempre prodotto attrezzi o utensili. Servono a risolvere problemi pratici e concreti; nel corso del tempo si sono consolidati nelle loro forme e funzionalità. Nel contempo ha realizzato anche oggetti cui venivano attribuiti ulteriori e più articolati significati e valori, come ad esempio un capo d’abbigliamento, un gioiello, un paramento sacro, un’arma nel caso di civiltà guerriere, oltre a quel particolare tipo di artefatti che sono le scritture. Il confine fra utensile, oggetto d’uso, fino all’opera d’arte è di natura qualitativa, in relazione innanzitutto alla coscienza intellettuale del proprio ruolo di autore-creatore; la distinzione è poi legata ai materiali, alle modalità della fattura, alla concezione e configurazione della forma e della sua decorazione. In epoche storiche differenti, coloro che erano abili nella realizzazione degli artefatti – come gli artigiani o gli artisti che si cimentavano con le cosiddette arti applicate e decorative – hanno talvolta assunto ruolo sociale elevato e per le loro attività dimensioni produttive importanti, in termini quantitativi, organizzativi ed economici. Con la rivoluzione industriale, che determina il passaggio “dalla civiltà degli utensili alla civiltà delle macchine”, si delinea la figura specifica del designer. Avviene cioè un significativo cambiamento relativo ai modi realizzativi che, fra le altre cose, all’interno del complessivo sistema di fabbrica, separa chi disegna/progetta da chi organizza, gestisce, produce e vende. Si può parlare di design proprio da quando si riconosce un’attività intellettuale e di progetto separata dai processi produttivi. Nel tempo, questo porta a identificare e formare un ruolo specifico, quello di chi appunto progetta per la produzione industriale. Il design è perciò collegato al sistema di ideazione, esecuzione, comunicazione, distribuzione, consumo dell’età industriale; in maniera consapevole, più o meno convinta oppure polemica, evolve e convive con le trasformazioni dell’era tardo-industriale, post-industriale, neo-industriale, per utilizzare etichette che hanno identificato le tappe dello sviluppo nel corso del Novecento. La storia del design si occupa specificamente del pensiero progettuale, il percorso cioè che conduce a formulare un artefatto estetico, esito di un’idea funzionale, tecnica, tipologica, formale o d’altra natura – adiverso titolo collegata a una necessità, a una committenza o al mercato – e a predisporne i caratteri in relazione a possibilità ed economie di produzione distribuzione e comunicazione.

Storia della cultura materiale, design histories, progetto “senza aggettivi”

Alberto Bassi
2018-01-01

Abstract

La storia del design può essere collocata dunque dentro il più vasto ambito della cultura materiale, cioè delle manifestazioni dell’agire umano, in cui un aspetto tecnico ed empirico è unito a uno artistico- creativo-progettuale. Dove la componente fabbrile, del fare concreto, è collegata a quella intellettuale, che fornisce significato e valore latu sensu agli artefatti. L’uomo ha sempre prodotto attrezzi o utensili. Servono a risolvere problemi pratici e concreti; nel corso del tempo si sono consolidati nelle loro forme e funzionalità. Nel contempo ha realizzato anche oggetti cui venivano attribuiti ulteriori e più articolati significati e valori, come ad esempio un capo d’abbigliamento, un gioiello, un paramento sacro, un’arma nel caso di civiltà guerriere, oltre a quel particolare tipo di artefatti che sono le scritture. Il confine fra utensile, oggetto d’uso, fino all’opera d’arte è di natura qualitativa, in relazione innanzitutto alla coscienza intellettuale del proprio ruolo di autore-creatore; la distinzione è poi legata ai materiali, alle modalità della fattura, alla concezione e configurazione della forma e della sua decorazione. In epoche storiche differenti, coloro che erano abili nella realizzazione degli artefatti – come gli artigiani o gli artisti che si cimentavano con le cosiddette arti applicate e decorative – hanno talvolta assunto ruolo sociale elevato e per le loro attività dimensioni produttive importanti, in termini quantitativi, organizzativi ed economici. Con la rivoluzione industriale, che determina il passaggio “dalla civiltà degli utensili alla civiltà delle macchine”, si delinea la figura specifica del designer. Avviene cioè un significativo cambiamento relativo ai modi realizzativi che, fra le altre cose, all’interno del complessivo sistema di fabbrica, separa chi disegna/progetta da chi organizza, gestisce, produce e vende. Si può parlare di design proprio da quando si riconosce un’attività intellettuale e di progetto separata dai processi produttivi. Nel tempo, questo porta a identificare e formare un ruolo specifico, quello di chi appunto progetta per la produzione industriale. Il design è perciò collegato al sistema di ideazione, esecuzione, comunicazione, distribuzione, consumo dell’età industriale; in maniera consapevole, più o meno convinta oppure polemica, evolve e convive con le trasformazioni dell’era tardo-industriale, post-industriale, neo-industriale, per utilizzare etichette che hanno identificato le tappe dello sviluppo nel corso del Novecento. La storia del design si occupa specificamente del pensiero progettuale, il percorso cioè che conduce a formulare un artefatto estetico, esito di un’idea funzionale, tecnica, tipologica, formale o d’altra natura – adiverso titolo collegata a una necessità, a una committenza o al mercato – e a predisporne i caratteri in relazione a possibilità ed economie di produzione distribuzione e comunicazione.
2018
9788857554488
9788894056990
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