In questi ultimi anni di didattica e di ricerca abbiamo messo al centro della nostra riflessione progettuale l’esperienza spaziale e l’idea di spazio in architettura. Uno spazio concepito non tanto in senso teorico, riduzionistico, cartesiano, ma uno spazio inteso più in senso concreto, in stretto rapporto con il reale, lo spazio come fenomeno multiforme e complesso, così come si dà alla nostra percezione sensibile e come lo sperimentiamo continuamente nella nostra esperienza quotidiana. Un certo modo di intendere la disciplina considera l’esistenza di numerosi temi di architettura tra loro alternativi e distinti, secondo un approccio di tipo specialistico mutuato dalle scienze positivistiche. Dal nostro punto di vista, invece, se per “tema” intendiamo l’argomento, il soggetto, il motivo dominante della composizione dell’architettura, allora non possono esistere tanti temi alternativi tra loro ma un solo tema: lo spazio. Apparentemente, assumere questo sguardo così radicale sembra semplificare l’approccio alla disciplina, ma, in realtà, è solo il punto di partenza per altre domande. Ne era cosciente anche Walter Gropius che, circa un secolo fa, nel 1923, sollevava alcuni interrogativi importanti che sono gli stessi quesiti che ci poniamo ancora oggi. «Tutte le arti plastiche aspirano alla creazione dello spazio. […] Ma, a tale riguardo, esiste una grande confusione d’idee. Spazio, cosa significa esattamente? Come possiamo afferrare e creare spazio?». Mossa da questi interrogativi, la nostra riflessione sullo spazio ha portato a una continua sperimentazione didattica di dispositivi, pratiche e strumenti di lavoro orientati allo sviluppo di un’attitudine, di un approccio tridimensionale al progetto di architettura. Acquisire una sensibilità verso la dimensione spaziale di questa disciplina non è un esercizio semplice poiché si tratta di compiere una vera e propria inversione concettuale dal pieno al vuoto, dal volume allo spazio, dal concavo al convesso, dalla durezza della materia alla morbida resistenza dell’aria. In questo sforzo di capovolgimento di un punto di vista assuefatto e inerte ci può aiutare la riflessione su due processi cognitivi molto importanti come quelli dell’analogia e dell’astrazione che sovrintendono alla nostra capacità di leggere, decifrare e riprodurre il fenomeno spaziale. Il processo di analogia è importante perché manifesta la somiglianza, la corrispondenza di ogni manifestazione con il nostro modello di riferimento che è sempre rappresentato dalla realtà che ci circonda, che sia essa naturale o artificiale, con la sua abbondanza e moltiplicazione continua di contenuti e informazioni. Il processo di astrazione è importante perché, in certi casi, per decifrare alcuni meccanismi costitutivi della realtà stessa abbiamo bisogno di sottrarre informazioni, di alleggerirne la complessità attraverso un processo di selezione e separazione, di distinzione e di scelta di ciò che è più importante, di ciò che interessa per un certo scopo. Volendo semplificare moltissimo, potremmo dire che l’astrazione è quel processo cognitivo che estrae o sottrae informazioni e, in questo modo, si distacca dalla realtà per comprenderla meglio. L’analogia è quel processo cognitivo che aggiunge informazioni, che le moltiplica, cercando di aderire il più possibile alla realtà, sempre per comprenderla meglio. Dunque, analogia e astrazione, sebbene siano due possibilità tra loro alternative di descrizione del mondo che ci circonda, in fondo hanno entrambi lo stesso scopo di comprensione dei fenomeni. All’interno di questi riveste un ruolo particolare lo spazio che possiamo considerare come fenomeno per eccellenza, il fenomeno dei fenomeni, quello per mezzo del quale e attraverso il quale ogni altra manifestazione viene data alla nostra coscienza. Proprio il fenomeno spaziale è il centro della riflessione su cui insistono i dispositivi, le pratiche e gli strumenti didattici richiamati in questo volume come il disegno, il modello e il viaggio. Queste modalità di espressione della didattica sono state utilizzate nella formazione degli studenti del primo anno del corso di studi in architettura presso l’Università IUAV di Venezia dal 2014 al 2021 secondo una formula a vocazione maggiormente sperimentale rispetto alla prassi più ordinaria. Esse si offrono alla riflessione di alcuni giovani ricercatori che, a vario titolo e a più riprese, hanno contribuito, insieme al sottoscritto, alla realizzazione di quest’attività formativa. Il ragionamento affrontato in ogni capitolo configura un approfondimento che si mantiene sempre sul doppio registro di sintesi dell’astrazione e di ricchezza dell’analogia. Sullo strumento del disegno intervengono, nel capitolo di apertura, Claudio Patanè e Giorgia Cesaro. Il primo si sofferma sull’esercizio del disegno dal vero “a mano libera”, considerato alla luce di un’esperienza analogica che coinvolge l’uso del corpo come strumento di restituzione e controllo della realtà. La seconda approfondisce alcune idee sottese alla pratica del disegno architettonico geometrico dal tratto più essenziale, che qualcuno definisce “a fil di ferro” e che si serve del registro più astratto e cerebrale della proiezione ortogonale. Sul dispositivo tridimensionale del modello concreto, in gergo chiamato plastico, si esprime, insieme a me, Marcello Galiotto. Il ragionamento, oltre a indagare il ruolo peculiare di questo dispositivo all’interno del processo di elaborazione del progetto di architettura, si sofferma, da un lato, su una versione più astratta del modello, determinata dalle possibilità che si producono lavorando su plastici di piccola dimensione e, dall’altro, su una versione più analogica di questa macchina di prefigurazione spaziale, data dalle possibilità che si innescano lavorando su plastici di grande dimensione. Sulla pratica del viaggio di architettura, infine, intervengono Roberto Bosi e Alessandra Rampazzo. Il primo si concentra sull’esperienza del viaggio di formazione, intrecciando le esperienze dei grandi maestri del Novecento su itinerari che coinvolgono l’Italia come territorio comune. La seconda si sofferma su quella sorta di viaggio che potremmo definire più frequente e ordinario, ma non per questo meno straordinario, che si svolge nei luoghi della vita quotidiana, trasfigurato nell’esperienza di assidua frequentazione di una città speciale dal punto di vista architettonico e spaziale come Venezia. In questo duplice scenario di attitudine per l’astrazione e di vocazione all’analogia, il principio discriminante sembra essere sempre l’uso del corpo come dispositivo di lettura, di comprensione e di prefigurazione spaziale. Più il corpo umano viene allontanato, viene tenuto fuori dai meccanismi di invenzione e consumo dello spazio dell’architettura più si innescano dinamiche che favoriscono soluzioni e approcci di tipo astratto, come nel caso del disegno “a fil di ferro” o del modello di piccole dimensioni; più il corpo umano viene messo al centro di questi meccanismi più si innescano dinamiche che richiedono soluzioni e approcci di tipo analogico, come avviene nel caso del disegno dal vero “a mano libera”, del modello di grandi dimensioni o del viaggio di formazione. Impadronirsi di questo doppio registro, del doppio punto di vista rappresentato dalle virtù dell’astrazione e dai valori dell’analogia rappresenta, per qualsiasi architetto, un’imperdibile occasione per “afferrare lo spazio”.

Afferrare lo spazio : dispositivi, pratiche e strumenti per un approccio tridimensionale al progetto di architettura

Cacciatore, Francesco
2021-01-01

Abstract

In questi ultimi anni di didattica e di ricerca abbiamo messo al centro della nostra riflessione progettuale l’esperienza spaziale e l’idea di spazio in architettura. Uno spazio concepito non tanto in senso teorico, riduzionistico, cartesiano, ma uno spazio inteso più in senso concreto, in stretto rapporto con il reale, lo spazio come fenomeno multiforme e complesso, così come si dà alla nostra percezione sensibile e come lo sperimentiamo continuamente nella nostra esperienza quotidiana. Un certo modo di intendere la disciplina considera l’esistenza di numerosi temi di architettura tra loro alternativi e distinti, secondo un approccio di tipo specialistico mutuato dalle scienze positivistiche. Dal nostro punto di vista, invece, se per “tema” intendiamo l’argomento, il soggetto, il motivo dominante della composizione dell’architettura, allora non possono esistere tanti temi alternativi tra loro ma un solo tema: lo spazio. Apparentemente, assumere questo sguardo così radicale sembra semplificare l’approccio alla disciplina, ma, in realtà, è solo il punto di partenza per altre domande. Ne era cosciente anche Walter Gropius che, circa un secolo fa, nel 1923, sollevava alcuni interrogativi importanti che sono gli stessi quesiti che ci poniamo ancora oggi. «Tutte le arti plastiche aspirano alla creazione dello spazio. […] Ma, a tale riguardo, esiste una grande confusione d’idee. Spazio, cosa significa esattamente? Come possiamo afferrare e creare spazio?». Mossa da questi interrogativi, la nostra riflessione sullo spazio ha portato a una continua sperimentazione didattica di dispositivi, pratiche e strumenti di lavoro orientati allo sviluppo di un’attitudine, di un approccio tridimensionale al progetto di architettura. Acquisire una sensibilità verso la dimensione spaziale di questa disciplina non è un esercizio semplice poiché si tratta di compiere una vera e propria inversione concettuale dal pieno al vuoto, dal volume allo spazio, dal concavo al convesso, dalla durezza della materia alla morbida resistenza dell’aria. In questo sforzo di capovolgimento di un punto di vista assuefatto e inerte ci può aiutare la riflessione su due processi cognitivi molto importanti come quelli dell’analogia e dell’astrazione che sovrintendono alla nostra capacità di leggere, decifrare e riprodurre il fenomeno spaziale. Il processo di analogia è importante perché manifesta la somiglianza, la corrispondenza di ogni manifestazione con il nostro modello di riferimento che è sempre rappresentato dalla realtà che ci circonda, che sia essa naturale o artificiale, con la sua abbondanza e moltiplicazione continua di contenuti e informazioni. Il processo di astrazione è importante perché, in certi casi, per decifrare alcuni meccanismi costitutivi della realtà stessa abbiamo bisogno di sottrarre informazioni, di alleggerirne la complessità attraverso un processo di selezione e separazione, di distinzione e di scelta di ciò che è più importante, di ciò che interessa per un certo scopo. Volendo semplificare moltissimo, potremmo dire che l’astrazione è quel processo cognitivo che estrae o sottrae informazioni e, in questo modo, si distacca dalla realtà per comprenderla meglio. L’analogia è quel processo cognitivo che aggiunge informazioni, che le moltiplica, cercando di aderire il più possibile alla realtà, sempre per comprenderla meglio. Dunque, analogia e astrazione, sebbene siano due possibilità tra loro alternative di descrizione del mondo che ci circonda, in fondo hanno entrambi lo stesso scopo di comprensione dei fenomeni. All’interno di questi riveste un ruolo particolare lo spazio che possiamo considerare come fenomeno per eccellenza, il fenomeno dei fenomeni, quello per mezzo del quale e attraverso il quale ogni altra manifestazione viene data alla nostra coscienza. Proprio il fenomeno spaziale è il centro della riflessione su cui insistono i dispositivi, le pratiche e gli strumenti didattici richiamati in questo volume come il disegno, il modello e il viaggio. Queste modalità di espressione della didattica sono state utilizzate nella formazione degli studenti del primo anno del corso di studi in architettura presso l’Università IUAV di Venezia dal 2014 al 2021 secondo una formula a vocazione maggiormente sperimentale rispetto alla prassi più ordinaria. Esse si offrono alla riflessione di alcuni giovani ricercatori che, a vario titolo e a più riprese, hanno contribuito, insieme al sottoscritto, alla realizzazione di quest’attività formativa. Il ragionamento affrontato in ogni capitolo configura un approfondimento che si mantiene sempre sul doppio registro di sintesi dell’astrazione e di ricchezza dell’analogia. Sullo strumento del disegno intervengono, nel capitolo di apertura, Claudio Patanè e Giorgia Cesaro. Il primo si sofferma sull’esercizio del disegno dal vero “a mano libera”, considerato alla luce di un’esperienza analogica che coinvolge l’uso del corpo come strumento di restituzione e controllo della realtà. La seconda approfondisce alcune idee sottese alla pratica del disegno architettonico geometrico dal tratto più essenziale, che qualcuno definisce “a fil di ferro” e che si serve del registro più astratto e cerebrale della proiezione ortogonale. Sul dispositivo tridimensionale del modello concreto, in gergo chiamato plastico, si esprime, insieme a me, Marcello Galiotto. Il ragionamento, oltre a indagare il ruolo peculiare di questo dispositivo all’interno del processo di elaborazione del progetto di architettura, si sofferma, da un lato, su una versione più astratta del modello, determinata dalle possibilità che si producono lavorando su plastici di piccola dimensione e, dall’altro, su una versione più analogica di questa macchina di prefigurazione spaziale, data dalle possibilità che si innescano lavorando su plastici di grande dimensione. Sulla pratica del viaggio di architettura, infine, intervengono Roberto Bosi e Alessandra Rampazzo. Il primo si concentra sull’esperienza del viaggio di formazione, intrecciando le esperienze dei grandi maestri del Novecento su itinerari che coinvolgono l’Italia come territorio comune. La seconda si sofferma su quella sorta di viaggio che potremmo definire più frequente e ordinario, ma non per questo meno straordinario, che si svolge nei luoghi della vita quotidiana, trasfigurato nell’esperienza di assidua frequentazione di una città speciale dal punto di vista architettonico e spaziale come Venezia. In questo duplice scenario di attitudine per l’astrazione e di vocazione all’analogia, il principio discriminante sembra essere sempre l’uso del corpo come dispositivo di lettura, di comprensione e di prefigurazione spaziale. Più il corpo umano viene allontanato, viene tenuto fuori dai meccanismi di invenzione e consumo dello spazio dell’architettura più si innescano dinamiche che favoriscono soluzioni e approcci di tipo astratto, come nel caso del disegno “a fil di ferro” o del modello di piccole dimensioni; più il corpo umano viene messo al centro di questi meccanismi più si innescano dinamiche che richiedono soluzioni e approcci di tipo analogico, come avviene nel caso del disegno dal vero “a mano libera”, del modello di grandi dimensioni o del viaggio di formazione. Impadronirsi di questo doppio registro, del doppio punto di vista rappresentato dalle virtù dell’astrazione e dai valori dell’analogia rappresenta, per qualsiasi architetto, un’imperdibile occasione per “afferrare lo spazio”.
2021
9788862425803
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11578/308480
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