A differenza di altri paesi europei in Italia, negli anni intercorsi dal secondo dopoguerra fino agli anni Settanta del secolo XX, si è persa forse un'occasione importate per ridefinire lo spazio della strada. Notevoli sono state le sperimentazioni in materia di ripensamento della sezione stradale e di modellazione dello spazio stradale (traffic calming) in Germania, Inghilterra e Olanda che non hanno avuto in Italia i medesimi esiti e gradi di innovazione. Le politiche italiane legate al trasporto hanno favorito la mobilità privata su gomma, producendo un processo esteso di “stradalizzazione” a cui si sono associate, per effetto quasi diretto, forme urbane disperse, specifiche soprattutto di aree periurbane e caratterizzate dalla bassa densità. Negli anni recenti, complici forse da un lato la crisi economica del 2008, il rafforzamento di una sensibilità ambientale e le più recenti crisi pandemiche si registra rinnovato ed esteso interesse per le forme diverse di mobilità attiva. In questo quadro si possono quindi riconoscere le condizioni favorevoli per impostare un'agenda mirata a produrre nuove letture territoriali e possibili operazioni di ricerca rivolte alla costruzione di nuovi scenari per i territori strutturalmente legati alle forme più tradizionali di mobilità individuale su gomma e, allo stesso tempo, depositari di supporti infrastrutturali minori (strade bianche, carrarecce, sentieri agricoli ecc.). Accanto alla disponibilità di uno stock infrastrutturale minuto capace di articolare una possibile riformulazione paesaggistica e spaziale, si osserva anche uno strato di pratiche, conoscenze e culture che, alternative all’auto, rivendicano un uso maggiormente inclusivo della strada. Dopo più di vent’anni dalla prime critical mass di Roma e Milano, anche nei contesti urbani a più bassa densità si assiste ad un proliferare di ciclofficine e di iniziative (cicloraduni, ciclovacanze ecc. a cui si ispirano le tante realtà sorte poi in tutta Italia). Si tratta di esperienze che esprimono efficacemente sia la domanda di un progetto della strada alternativo all’auto, sia la rivendicazione di alcuni ‘diritti’ che rimandano all’idea di uno spazio pubblico la cui qualità deriverebbe dalla capacità della città di essere dialettica, accogliendo i conflitti derivanti dalle molteplici pratiche che vi si possono esercitare. Esperienze che, insieme alla particolare conformazione delle nostre città, indicano il percorso di un possibile riuso della strada e che sovrappongono ambiti ad alta specializzazione, sicuri, rapidi, efficienti ad uno strato più lento, capaci di costruire attorno alla mobilità attiva, alle pratiche del tempo libero e alla cristallizzazione di un uso inclusivo e inedito dello spazio pubblico. Se nei centri urbani più densi, dotati di maggiori capitale economico e culturale e con esigenze di mobilità limitate al contesto locale, si stanno già sperimentando soluzioni alternative all’auto, a sostegno di una mobilità attiva (non necessariamente dolce o lenta) e del trasporto pubblico locale, manca tuttavia ancora una riflessione proiettiva per le varie forme di accessibilità e mobilità sia pendolare che turistica in un contesto metropolitano di media e bassa densità urbana, riferibili al Veneto per esempio. Queste popolazioni esprimono domande spesso guidate non solo dalle possibili intermodalità treno-bicicletta o autobus-bicicletta, ma anche da progetti spaziali capaci di andare incontro a queste esigenze in maniera, funzionale, sostenibile compatibile con la qualità urbana e paesaggistica di alcuni contesti.

Città diffusa, car dependency e regolazione degli spazi e degli usi della strada

Velo, Luca
;
Munarin, Stefano
2023-01-01

Abstract

A differenza di altri paesi europei in Italia, negli anni intercorsi dal secondo dopoguerra fino agli anni Settanta del secolo XX, si è persa forse un'occasione importate per ridefinire lo spazio della strada. Notevoli sono state le sperimentazioni in materia di ripensamento della sezione stradale e di modellazione dello spazio stradale (traffic calming) in Germania, Inghilterra e Olanda che non hanno avuto in Italia i medesimi esiti e gradi di innovazione. Le politiche italiane legate al trasporto hanno favorito la mobilità privata su gomma, producendo un processo esteso di “stradalizzazione” a cui si sono associate, per effetto quasi diretto, forme urbane disperse, specifiche soprattutto di aree periurbane e caratterizzate dalla bassa densità. Negli anni recenti, complici forse da un lato la crisi economica del 2008, il rafforzamento di una sensibilità ambientale e le più recenti crisi pandemiche si registra rinnovato ed esteso interesse per le forme diverse di mobilità attiva. In questo quadro si possono quindi riconoscere le condizioni favorevoli per impostare un'agenda mirata a produrre nuove letture territoriali e possibili operazioni di ricerca rivolte alla costruzione di nuovi scenari per i territori strutturalmente legati alle forme più tradizionali di mobilità individuale su gomma e, allo stesso tempo, depositari di supporti infrastrutturali minori (strade bianche, carrarecce, sentieri agricoli ecc.). Accanto alla disponibilità di uno stock infrastrutturale minuto capace di articolare una possibile riformulazione paesaggistica e spaziale, si osserva anche uno strato di pratiche, conoscenze e culture che, alternative all’auto, rivendicano un uso maggiormente inclusivo della strada. Dopo più di vent’anni dalla prime critical mass di Roma e Milano, anche nei contesti urbani a più bassa densità si assiste ad un proliferare di ciclofficine e di iniziative (cicloraduni, ciclovacanze ecc. a cui si ispirano le tante realtà sorte poi in tutta Italia). Si tratta di esperienze che esprimono efficacemente sia la domanda di un progetto della strada alternativo all’auto, sia la rivendicazione di alcuni ‘diritti’ che rimandano all’idea di uno spazio pubblico la cui qualità deriverebbe dalla capacità della città di essere dialettica, accogliendo i conflitti derivanti dalle molteplici pratiche che vi si possono esercitare. Esperienze che, insieme alla particolare conformazione delle nostre città, indicano il percorso di un possibile riuso della strada e che sovrappongono ambiti ad alta specializzazione, sicuri, rapidi, efficienti ad uno strato più lento, capaci di costruire attorno alla mobilità attiva, alle pratiche del tempo libero e alla cristallizzazione di un uso inclusivo e inedito dello spazio pubblico. Se nei centri urbani più densi, dotati di maggiori capitale economico e culturale e con esigenze di mobilità limitate al contesto locale, si stanno già sperimentando soluzioni alternative all’auto, a sostegno di una mobilità attiva (non necessariamente dolce o lenta) e del trasporto pubblico locale, manca tuttavia ancora una riflessione proiettiva per le varie forme di accessibilità e mobilità sia pendolare che turistica in un contesto metropolitano di media e bassa densità urbana, riferibili al Veneto per esempio. Queste popolazioni esprimono domande spesso guidate non solo dalle possibili intermodalità treno-bicicletta o autobus-bicicletta, ma anche da progetti spaziali capaci di andare incontro a queste esigenze in maniera, funzionale, sostenibile compatibile con la qualità urbana e paesaggistica di alcuni contesti.
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