L’organo più esteso dell’apparato tegumentario del corpo umano, la pelle, registra le memorie visive degli accadimenti del proprio vissuto, in forme volontarie e involontarie che stratificano i segni, le cicatrici e le impronte di una geografia mutevole raccolta dall’epidermico archivio dell’esistenza. Estrema superficie di separazione e protezione, traccia il limite fra l’essere e il manifestarsi, diventando il principale strumento di ricezione e comunicazione degli stimoli, intesi nella soggettiva grammatica dei propriocettivi fattori emozionali, indotti dal contatto con l’altro o semplicemente dedotti dal solo mostrarsi. L’atto di disegnare sulla pelle, quindi, svela un senso di protezione e cela il pudore di esibire la completa nudità, rivelando le radici del contesto culturale di appartenenza o al quale si vuole ambire. È pur vero che esistono tribù, come ad esempio quella dell’Orinoco, non avvezze all’indossare vesti; tuttavia, provano vergogna di mostrarsi integralmente l’uno all’altro senza l’ornamento della pittura. Allora si comprende come il genere umano consideri la superficie del corpo come una sorta di tabula rasa, una tela sulla quale inscrivere eidografici codici linguistici, anticipatori di significati inespressi verbalmente. Il saggio approfondisce le dolenti e perduranti forme di scrittura della pelle che si originano nelle pratiche del tatuaggio, per indagare tanto i metodi e gli strumenti che lo hanno condizionato, quanto le evoluzioni odierne, prodotte da riconosciuti artisti di fama nazionale e internazionale. Al contempo si recuperano i saperi offerti dalla letteratura storica, ricca di incisioni che documentano le espressioni grafiche e gli utensili utilizzati nelle pitture permanenti dei volti – come, ad esempio, si riscontra nel settecentesco "Journal of a voyage to the South Seas, in His Majesty’s ship the Endeavour", di Sydney Parkinson – tipiche dell’estetica Tā Moko, attraverso la quale i Māori solcano il proprio viso per rimarcare lo status sociale, in un complesso di linee che memorizzano il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Da carte di identità culturale, oggi le diverse forme di scrittura e disegno permanente del corpo si sono evolute nei modelli mainstream di una occidentale, a volte accidentale, estetica perdurante: marchiatura, scarificazione e impianti sottocutanei si sovrappongono alle linee di un programmatico ripensamento epidermico, incapace di rinunciare alla permanente vestibilità del tatuaggio. In questo contesto ornamento e decorazione sono parte integrante dei processi di costruzione ed evoluzione dell’identità dell’individuo. ___________________________ The most extensive organ of the human body integumentary apparatus, the skin, records the visual memories of the events of its own experience, in voluntary and involuntary forms that stratify the signs, the scars and traces of a changing geography collected from the epidermal archive of existence. Extreme surface of separation and protection, it demarcates the limit between being and showing, becoming the main instrument of reception and communication of stimuli, understood in the subjective grammar of proprioceptive emotional factors, induced by contact with the other or simply deduced from the mere presenting oneself. The act of drawing on the skin, therefore, reveals a sense of protection and conceals the modesty of exhibiting complete nudity, showing up the roots of the cultural context of belonging or to which you want to aspire. It is true that there are tribes, such as that of the Orinoco, not accustomed to wearing clothes; however, they are ashamed to show themselves integrally to each other without the painting ornament. Then we understand how the human gender considers the surface of the body as a sort of tabula rasa, a canvas on which to inscribe ideographic linguistic codes, anticipating meanings unexpressed verbally. The essay delves into the painful and enduring forms of skin writing that originate in tattoo practices, to investigate both the methods and tools that have affected it, as well as today’s evolutions, produced by renowned national and international artists. At the same time the knowledge offered by historical literature is recovered. It is rich in engravings documenting the graphic expressions and tools used in permanent face paintings –as, for example, is found in the eighteenth-century "Journal of a voyage to the South Seas, in His Majesty’s ship the Endeavour" by Sydney Parkinson– typical of the Tā Moko aesthetic, through which the Māori plough their faces to emphasize social status, in a complex of lines that memorize the transition from adolescence to adulthood. From cultural identity cards, today the different forms of writing and permanent drawing of the body have evolved into the mainstream models of a Western, sometimes accidental, enduring aesthetic: marking, scarification and subcutaneous implants overlap the lines of a programmatic epidermal rethinking, unable to give up the permanent fit of the tattoo. In this context ornament and decoration are an integral part of the construction and evolution processes of the human identity.

Pelli disegnate e indelebili decori del corpo = Drawn Skins and Indelible Body Decorations

Ciammaichella, Massimiliano
;
2022-01-01

Abstract

L’organo più esteso dell’apparato tegumentario del corpo umano, la pelle, registra le memorie visive degli accadimenti del proprio vissuto, in forme volontarie e involontarie che stratificano i segni, le cicatrici e le impronte di una geografia mutevole raccolta dall’epidermico archivio dell’esistenza. Estrema superficie di separazione e protezione, traccia il limite fra l’essere e il manifestarsi, diventando il principale strumento di ricezione e comunicazione degli stimoli, intesi nella soggettiva grammatica dei propriocettivi fattori emozionali, indotti dal contatto con l’altro o semplicemente dedotti dal solo mostrarsi. L’atto di disegnare sulla pelle, quindi, svela un senso di protezione e cela il pudore di esibire la completa nudità, rivelando le radici del contesto culturale di appartenenza o al quale si vuole ambire. È pur vero che esistono tribù, come ad esempio quella dell’Orinoco, non avvezze all’indossare vesti; tuttavia, provano vergogna di mostrarsi integralmente l’uno all’altro senza l’ornamento della pittura. Allora si comprende come il genere umano consideri la superficie del corpo come una sorta di tabula rasa, una tela sulla quale inscrivere eidografici codici linguistici, anticipatori di significati inespressi verbalmente. Il saggio approfondisce le dolenti e perduranti forme di scrittura della pelle che si originano nelle pratiche del tatuaggio, per indagare tanto i metodi e gli strumenti che lo hanno condizionato, quanto le evoluzioni odierne, prodotte da riconosciuti artisti di fama nazionale e internazionale. Al contempo si recuperano i saperi offerti dalla letteratura storica, ricca di incisioni che documentano le espressioni grafiche e gli utensili utilizzati nelle pitture permanenti dei volti – come, ad esempio, si riscontra nel settecentesco "Journal of a voyage to the South Seas, in His Majesty’s ship the Endeavour", di Sydney Parkinson – tipiche dell’estetica Tā Moko, attraverso la quale i Māori solcano il proprio viso per rimarcare lo status sociale, in un complesso di linee che memorizzano il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Da carte di identità culturale, oggi le diverse forme di scrittura e disegno permanente del corpo si sono evolute nei modelli mainstream di una occidentale, a volte accidentale, estetica perdurante: marchiatura, scarificazione e impianti sottocutanei si sovrappongono alle linee di un programmatico ripensamento epidermico, incapace di rinunciare alla permanente vestibilità del tatuaggio. In questo contesto ornamento e decorazione sono parte integrante dei processi di costruzione ed evoluzione dell’identità dell’individuo. ___________________________ The most extensive organ of the human body integumentary apparatus, the skin, records the visual memories of the events of its own experience, in voluntary and involuntary forms that stratify the signs, the scars and traces of a changing geography collected from the epidermal archive of existence. Extreme surface of separation and protection, it demarcates the limit between being and showing, becoming the main instrument of reception and communication of stimuli, understood in the subjective grammar of proprioceptive emotional factors, induced by contact with the other or simply deduced from the mere presenting oneself. The act of drawing on the skin, therefore, reveals a sense of protection and conceals the modesty of exhibiting complete nudity, showing up the roots of the cultural context of belonging or to which you want to aspire. It is true that there are tribes, such as that of the Orinoco, not accustomed to wearing clothes; however, they are ashamed to show themselves integrally to each other without the painting ornament. Then we understand how the human gender considers the surface of the body as a sort of tabula rasa, a canvas on which to inscribe ideographic linguistic codes, anticipating meanings unexpressed verbally. The essay delves into the painful and enduring forms of skin writing that originate in tattoo practices, to investigate both the methods and tools that have affected it, as well as today’s evolutions, produced by renowned national and international artists. At the same time the knowledge offered by historical literature is recovered. It is rich in engravings documenting the graphic expressions and tools used in permanent face paintings –as, for example, is found in the eighteenth-century "Journal of a voyage to the South Seas, in His Majesty’s ship the Endeavour" by Sydney Parkinson– typical of the Tā Moko aesthetic, through which the Māori plough their faces to emphasize social status, in a complex of lines that memorize the transition from adolescence to adulthood. From cultural identity cards, today the different forms of writing and permanent drawing of the body have evolved into the mainstream models of a Western, sometimes accidental, enduring aesthetic: marking, scarification and subcutaneous implants overlap the lines of a programmatic epidermal rethinking, unable to give up the permanent fit of the tattoo. In this context ornament and decoration are an integral part of the construction and evolution processes of the human identity.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11578/323087
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