L’allestimento di una piccola mostra sull’architettura delle facciate delle chiese veneziane di Andrea Palladio, realizzata all’Università Iuav di Venezia per celebrare i cinquecento anni dalla sua nascita, è stata l’occasione per una più specifica riflessione sulla questione espositiva e sulle modalità di rappresentazione e trasmissione dell’architettura. Una mostra di architetture del passato può diventare un vero e proprio disvelamento di «monumenti» di pietra o di carta – realizzati o semplicemente documentati – su cui si sono nel tempo stratificati progetti architettonici, progetti politici e culturali, identità individuali e collettive, significati e valori eterogenei che rendono queste architetture un palinsesto di possibili reinvenzioni e narrazioni. Una mostra sull’architettura di Andrea Palladio dovrebbe usare strumenti e tecniche al tempo stesso compatibili e coerenti con le caratteristiche di questa architettura, ma anche essere in grado di confrontarsi con l’apparato grafico prodotto dallo stesso architetto vicentino e dai suo interpreti. Invece di configurarsi come trasformazioni radicali, prima l’incisione e oggi le tecniche digitali possono rivelarsi come l’esplicitazione delle impostazioni grafiche implicite nelle xilografie e nei disegni di Palladio. L’incisione, con il suo maggior grado di accuratezza del segno, permetteva di riunire in un’unica immagine livelli di dettaglio prima inevitabilmente scomposti in scale e in tavole differenti. La grafica digitale, con la sua versatilità e capacità di sovrapporre in una gradazione infinita di opacità e trasparenza, di luminosità e oscurità – amplificata ulteriormente dall’animazione dei diversi livelli dell’immagine – permette di sintetizzare more palladiano confronti altrimenti sviluppati in più immagini e in più tavole.

Scomporre la «bella machina del mondo»: disegni e modelli nelle esposizioni palladiane degli ultimi decenni

Borgherini, Malvina
;
Garbin, Emanuele
2010-01-01

Abstract

L’allestimento di una piccola mostra sull’architettura delle facciate delle chiese veneziane di Andrea Palladio, realizzata all’Università Iuav di Venezia per celebrare i cinquecento anni dalla sua nascita, è stata l’occasione per una più specifica riflessione sulla questione espositiva e sulle modalità di rappresentazione e trasmissione dell’architettura. Una mostra di architetture del passato può diventare un vero e proprio disvelamento di «monumenti» di pietra o di carta – realizzati o semplicemente documentati – su cui si sono nel tempo stratificati progetti architettonici, progetti politici e culturali, identità individuali e collettive, significati e valori eterogenei che rendono queste architetture un palinsesto di possibili reinvenzioni e narrazioni. Una mostra sull’architettura di Andrea Palladio dovrebbe usare strumenti e tecniche al tempo stesso compatibili e coerenti con le caratteristiche di questa architettura, ma anche essere in grado di confrontarsi con l’apparato grafico prodotto dallo stesso architetto vicentino e dai suo interpreti. Invece di configurarsi come trasformazioni radicali, prima l’incisione e oggi le tecniche digitali possono rivelarsi come l’esplicitazione delle impostazioni grafiche implicite nelle xilografie e nei disegni di Palladio. L’incisione, con il suo maggior grado di accuratezza del segno, permetteva di riunire in un’unica immagine livelli di dettaglio prima inevitabilmente scomposti in scale e in tavole differenti. La grafica digitale, con la sua versatilità e capacità di sovrapporre in una gradazione infinita di opacità e trasparenza, di luminosità e oscurità – amplificata ulteriormente dall’animazione dei diversi livelli dell’immagine – permette di sintetizzare more palladiano confronti altrimenti sviluppati in più immagini e in più tavole.
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