A Perugia, come e più che in altri centri storici italiani, si è instaurato un rapporto speciale - tra artificio e natura, tra storia e geografia - che s’invera in quella forma stellare del suo cuore medioevale dove le dorsali dei borghi si alternano a profonde gole verdi. Qui, come più che altrove, il confronto con il luogo, inteso come struttura morfologica , sembra costituire tutt’ora una base indispensabile per il progetto d’architettura. Un progetto la cui bontà si misurerà ancora – come sempre ricordava Vittorio Gregotti – sulla «qualità della modificazione che esso induce» e, perciò, sulla capacità di rivelare, attraverso la sintesi di cui la forma è portatrice, sia i caratteri costitutivi del contesto, sia le relazioni che con esso si vogliono stabilire. Tutto questo anche a costo di rinunciare all’unitarietà del progetto stesso e anche a costo di accettare, fino il fondo, lo scomodo confronto con l’“impurità” e la “povertà” di ciò che esiste. D’altronde, commentava una volta Antonio Tabucchi, «parlare, e soprattutto scrivere [e per noi disegnare e soprattutto progettare], è sempre un modo di venire a patti con la mancanza di senso della vita».
Figure della modificazione
Ferrari, Marco;Bortolotto, Elisabetta
2025-01-01
Abstract
A Perugia, come e più che in altri centri storici italiani, si è instaurato un rapporto speciale - tra artificio e natura, tra storia e geografia - che s’invera in quella forma stellare del suo cuore medioevale dove le dorsali dei borghi si alternano a profonde gole verdi. Qui, come più che altrove, il confronto con il luogo, inteso come struttura morfologica , sembra costituire tutt’ora una base indispensabile per il progetto d’architettura. Un progetto la cui bontà si misurerà ancora – come sempre ricordava Vittorio Gregotti – sulla «qualità della modificazione che esso induce» e, perciò, sulla capacità di rivelare, attraverso la sintesi di cui la forma è portatrice, sia i caratteri costitutivi del contesto, sia le relazioni che con esso si vogliono stabilire. Tutto questo anche a costo di rinunciare all’unitarietà del progetto stesso e anche a costo di accettare, fino il fondo, lo scomodo confronto con l’“impurità” e la “povertà” di ciò che esiste. D’altronde, commentava una volta Antonio Tabucchi, «parlare, e soprattutto scrivere [e per noi disegnare e soprattutto progettare], è sempre un modo di venire a patti con la mancanza di senso della vita».File | Dimensione | Formato | |
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