Il contributo vuole proporre una panoramica sugli architetti sovietici in viaggio in Italia a cavallo fra gli anni ‘50, e ’60. Dopo la morte di Stalin l’Unione Sovietica era impegnata in una nuova ricostruzione durante il periodo delle riforme di Chruščëv, che produsse un completo stravolgimento della professione dell’architetto, delle sue competenze e della pratica progettuale. Fra le principali novità introdotte da Chruščëv c’era la riapertura dei rapporti internazionali e i primi viaggi organizzati per gli specialisti sovietici all’estero, con il preciso scopo di mettersi alla pari con l’architettura e la tecnologia edile occidentale. Questo portò a un rapido aggiornamento professionale e alla progressiva appropriazione tecnica e progettuale da parte degli specialisti sovietici. Attraverso i dettagliati resoconti conservati negli archivi delle organizzazioni che impiegavano gli architetti sovietici è possibile ricostruire le spedizioni all’estero e tracciare i modi in cui queste informazioni venivano diffuse. Fra le varie destinazioni europee, i viaggi in Italia rivestono un ruolo particolarmente importante in questo processo di riconnessione con l’occidente. I privilegiati architetti sovietici che riescono a visitare l’Italia portano con sé un bagaglio secolare di relazioni culturali russo-italiane nel campo dell’architettura e una conoscenza approfondita dell’architettura classica e rinascimentale, in gran parte dovuta alla loro formazione durante gli anni di Stalin. Le aspettative di questi viaggiatori si scontrano con la realtà italiana del dopoguerra. Alla ricerca di una mediterraneità idealizzata e con il filtro dei luoghi comuni della propaganda comunista, gli architetti sovietici vedono le opere nel loro contesto moderno, e sono costretti a rivedere anni di conoscenza maturata solo attraverso pubblicazioni e trattati. Immergendosi nelle città, entrando in contatto con architetti e ingegneri italiani, gli architetti sovietici fanno conoscenza con l’architettura contemporanea italiana, con lo sviluppo automobilistico e infrastrutturale, e sono colpiti dalla compresenza del nuovo e dell’antico senza soluzione di continuità. Al ritorno in Unione Sovietica, queste esperienze vengono condivise, e stimolano riflessioni nella comunità degli architetti sovietici, alla ricerca di una nuova chiave per rispettare il programma modernista senza perdere il legame con le basi della loro formazione.

Architetti sovietici in Italia, 1957. Fra Grand Tour e modernità.

Toson, Christian
2024-01-01

Abstract

Il contributo vuole proporre una panoramica sugli architetti sovietici in viaggio in Italia a cavallo fra gli anni ‘50, e ’60. Dopo la morte di Stalin l’Unione Sovietica era impegnata in una nuova ricostruzione durante il periodo delle riforme di Chruščëv, che produsse un completo stravolgimento della professione dell’architetto, delle sue competenze e della pratica progettuale. Fra le principali novità introdotte da Chruščëv c’era la riapertura dei rapporti internazionali e i primi viaggi organizzati per gli specialisti sovietici all’estero, con il preciso scopo di mettersi alla pari con l’architettura e la tecnologia edile occidentale. Questo portò a un rapido aggiornamento professionale e alla progressiva appropriazione tecnica e progettuale da parte degli specialisti sovietici. Attraverso i dettagliati resoconti conservati negli archivi delle organizzazioni che impiegavano gli architetti sovietici è possibile ricostruire le spedizioni all’estero e tracciare i modi in cui queste informazioni venivano diffuse. Fra le varie destinazioni europee, i viaggi in Italia rivestono un ruolo particolarmente importante in questo processo di riconnessione con l’occidente. I privilegiati architetti sovietici che riescono a visitare l’Italia portano con sé un bagaglio secolare di relazioni culturali russo-italiane nel campo dell’architettura e una conoscenza approfondita dell’architettura classica e rinascimentale, in gran parte dovuta alla loro formazione durante gli anni di Stalin. Le aspettative di questi viaggiatori si scontrano con la realtà italiana del dopoguerra. Alla ricerca di una mediterraneità idealizzata e con il filtro dei luoghi comuni della propaganda comunista, gli architetti sovietici vedono le opere nel loro contesto moderno, e sono costretti a rivedere anni di conoscenza maturata solo attraverso pubblicazioni e trattati. Immergendosi nelle città, entrando in contatto con architetti e ingegneri italiani, gli architetti sovietici fanno conoscenza con l’architettura contemporanea italiana, con lo sviluppo automobilistico e infrastrutturale, e sono colpiti dalla compresenza del nuovo e dell’antico senza soluzione di continuità. Al ritorno in Unione Sovietica, queste esperienze vengono condivise, e stimolano riflessioni nella comunità degli architetti sovietici, alla ricerca di una nuova chiave per rispettare il programma modernista senza perdere il legame con le basi della loro formazione.
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