Il contributo presenta una riflessione teorico-progettuale sull’architettura del rifugio come gesto minimo ma radicale di attenzione, cura e dignità, sviluppata a partire da un workshop internazionale tenutosi presso l’Università Iuav di Venezia. L’esperienza affronta il tema del riparo per persone senza fissa dimora, interrogando la nozione stessa di abitare e di spazio pubblico nella città contemporanea. L’originalità risiede nell’aver coniugato pratica progettuale e riflessione critica per indagare come l’architettura – anche nelle sue forme effimere, mobili, temporanee – possa restituire significato alle persone emarginate, agendo come dispositivo di relazione, visibilità e risignificazione. Il testo assume un impianto metodologico, articolato attorno a riferimenti, quali La Pietra, Agamben, Lefebvre e Hirschhorn, relazionandosi all’analisi contestuale del sito di intervento: Campo Santa Margherita, storicamente luogo emblematico della marginalità e della resistenza popolare veneziana. Nel dialogo tra composizione architettonica e architettura del paesaggio, il progetto di shelter temporanei diventa occasione per sperimentare nuove forme di coabitazione e appartenenza, per riflettere sul diritto alla città. L’impatto del contributo si misura nella capacità di attivare una progettualità attenta che riconosca nella transitorietà non un limite ma un campo fertile per immaginare architetture di prossimità e coesistenza. L’atto del progettare si configura come forma di provvidenza: pre-vedere per includere, dotare lo spazio urbano di possibilità altre, opponendosi alla logica dello scarto.
Provisions/Dotazioni. Osservazione sensibile: dalla tipologia alle abitudini
Zilio Luca
2025-01-01
Abstract
Il contributo presenta una riflessione teorico-progettuale sull’architettura del rifugio come gesto minimo ma radicale di attenzione, cura e dignità, sviluppata a partire da un workshop internazionale tenutosi presso l’Università Iuav di Venezia. L’esperienza affronta il tema del riparo per persone senza fissa dimora, interrogando la nozione stessa di abitare e di spazio pubblico nella città contemporanea. L’originalità risiede nell’aver coniugato pratica progettuale e riflessione critica per indagare come l’architettura – anche nelle sue forme effimere, mobili, temporanee – possa restituire significato alle persone emarginate, agendo come dispositivo di relazione, visibilità e risignificazione. Il testo assume un impianto metodologico, articolato attorno a riferimenti, quali La Pietra, Agamben, Lefebvre e Hirschhorn, relazionandosi all’analisi contestuale del sito di intervento: Campo Santa Margherita, storicamente luogo emblematico della marginalità e della resistenza popolare veneziana. Nel dialogo tra composizione architettonica e architettura del paesaggio, il progetto di shelter temporanei diventa occasione per sperimentare nuove forme di coabitazione e appartenenza, per riflettere sul diritto alla città. L’impatto del contributo si misura nella capacità di attivare una progettualità attenta che riconosca nella transitorietà non un limite ma un campo fertile per immaginare architetture di prossimità e coesistenza. L’atto del progettare si configura come forma di provvidenza: pre-vedere per includere, dotare lo spazio urbano di possibilità altre, opponendosi alla logica dello scarto.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.



