Sull’origine dei fotografi Antonio e Felice Beato non si hanno notizie certe. È probabile che siano nati tra il 1825 e il 1835, forse a Venezia o in qualche territorio che era stato della Serenissima, come Corfù. A partire da un gruppo di cinquanta fotografie “egiziane” di Antonio Beato, il più giovane dei due fratelli, ritrovate negli archivi della Fondazione Musei Civici di Venezia, il volume intende riflettere sul loro lavoro, e in particolare su quello di Antonio, contestualizzandone sia lo sguardo fotografico, sia l'oggetto fotografato, in uno spazio storico plurale. Esso propone anche una rilettura degli anni iniziali dell'attività di Antonio, prima dell'arrivo in Egitto, legati alla permanenza a Costantinopoli e all’incontro, suo e del fratello, con il cognato, il fotografo inglese James Robertson (1813-1888). Sono anni decisivi visto che con i loro scatti essi non si limitano a catturare i magnifici resti delle architetture prodotte dalle antiche civiltà sorte ai margini orientali del Mediterraneo (in Grecia, Terra Santa, al Cairo, nella stessa Costantinopoli), ma arrivano anche a documentare ciò che avviene con la guerra di Crimea (1854-1856) e con la Prima guerra di liberazione indiana a Lucknow e Delhi (1857-1865). Dopo l’India, le strade dei tre si dividono: Felice raggiunge la Cina, dove fissa in impressionanti immagini la Seconda Guerra dell’Oppio (1856-1860) e si sposta ancora in Giappone, Corea e Birmania, Robertson ritorna a Costantinopoli, Antonio invece si stabilisce prima al Cairo e poi a Luxor dove è l'unico fotografo stabilmente insediato nell'area tebana e dove ha la possibilità di accompagnare non solo la nascita del turismo archeologico, ma, in un certo senso, anche quella della stessa egittologia. Nel complesso, si tratta di fotografie che illustrano eventi di un mondo che, da un lato, con l'apertura del canale di Suez nel 1869 iniziava a globalizzarsi, dall'altro, anche in virtù della vasta eco suscitata dalla campagna napoleonica d'Egitto, vedeva ampliarsi e modificarsi l'esperienza romantica del Grand Tour e il sorgere della nozione geo-politica di Medio Oriente. Una nozione che lo studioso e critico Edward Said ha definito come "semi-mitica", conseguenza diretta del lento declino dell'impero ottomano e di quello persiano, ma anche della pressante espansione coloniale europea. Da ultimo, il volume intende anche riflettere sulle progressive mutazioni del medium fotografico accogliendo, e affiancando a quelle di Antonio, le opere di alcuni autori contemporanei (Denis Dailleux, Bryony Dunne, Paul Geday, Anthony Hamboussi), nonché uno scatto straordinario della fotografa americana Lee Miller dedicato alla "Grande Piramide" ed, infine, gli album del viaggio in Egitto di Mariano Fortuny che, nel 1938, ripercorre quegli stessi luoghi, documentandoli attraverso straordinari disegni e foto solo amatoriali, ma non meno ricche di fascino.
Antonio Beato. Ritorno a Venezia
Marco Ferrari
;
2025-01-01
Abstract
Sull’origine dei fotografi Antonio e Felice Beato non si hanno notizie certe. È probabile che siano nati tra il 1825 e il 1835, forse a Venezia o in qualche territorio che era stato della Serenissima, come Corfù. A partire da un gruppo di cinquanta fotografie “egiziane” di Antonio Beato, il più giovane dei due fratelli, ritrovate negli archivi della Fondazione Musei Civici di Venezia, il volume intende riflettere sul loro lavoro, e in particolare su quello di Antonio, contestualizzandone sia lo sguardo fotografico, sia l'oggetto fotografato, in uno spazio storico plurale. Esso propone anche una rilettura degli anni iniziali dell'attività di Antonio, prima dell'arrivo in Egitto, legati alla permanenza a Costantinopoli e all’incontro, suo e del fratello, con il cognato, il fotografo inglese James Robertson (1813-1888). Sono anni decisivi visto che con i loro scatti essi non si limitano a catturare i magnifici resti delle architetture prodotte dalle antiche civiltà sorte ai margini orientali del Mediterraneo (in Grecia, Terra Santa, al Cairo, nella stessa Costantinopoli), ma arrivano anche a documentare ciò che avviene con la guerra di Crimea (1854-1856) e con la Prima guerra di liberazione indiana a Lucknow e Delhi (1857-1865). Dopo l’India, le strade dei tre si dividono: Felice raggiunge la Cina, dove fissa in impressionanti immagini la Seconda Guerra dell’Oppio (1856-1860) e si sposta ancora in Giappone, Corea e Birmania, Robertson ritorna a Costantinopoli, Antonio invece si stabilisce prima al Cairo e poi a Luxor dove è l'unico fotografo stabilmente insediato nell'area tebana e dove ha la possibilità di accompagnare non solo la nascita del turismo archeologico, ma, in un certo senso, anche quella della stessa egittologia. Nel complesso, si tratta di fotografie che illustrano eventi di un mondo che, da un lato, con l'apertura del canale di Suez nel 1869 iniziava a globalizzarsi, dall'altro, anche in virtù della vasta eco suscitata dalla campagna napoleonica d'Egitto, vedeva ampliarsi e modificarsi l'esperienza romantica del Grand Tour e il sorgere della nozione geo-politica di Medio Oriente. Una nozione che lo studioso e critico Edward Said ha definito come "semi-mitica", conseguenza diretta del lento declino dell'impero ottomano e di quello persiano, ma anche della pressante espansione coloniale europea. Da ultimo, il volume intende anche riflettere sulle progressive mutazioni del medium fotografico accogliendo, e affiancando a quelle di Antonio, le opere di alcuni autori contemporanei (Denis Dailleux, Bryony Dunne, Paul Geday, Anthony Hamboussi), nonché uno scatto straordinario della fotografa americana Lee Miller dedicato alla "Grande Piramide" ed, infine, gli album del viaggio in Egitto di Mariano Fortuny che, nel 1938, ripercorre quegli stessi luoghi, documentandoli attraverso straordinari disegni e foto solo amatoriali, ma non meno ricche di fascino.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.



