La valutazione economica del danno ambientale permette di attribuire un valore monetario agli impatti negativi che si sono osservati sulle risorse naturali e sull’uomo in conseguenza di un evento dannoso. Il danno ambientale, in senso economico, è quindi configurabile come una variazione negativa del flusso di utilità proveniente dal godimento di un bene e la sua misura monetaria è pari alla somma in grado di fornire un flusso di utilità equivalente. La letteratura economica negli anni ha affinato diverse metodologie in grado di quantificare la perdita di benessere sofferta da chi ha subito il danno, basate sulle preferenze (rivelate o dichiarate) delle persone, ma sfortunatamente di difficile adozione in sede processuale, sia per gli elevati costi (temporali e monetari) sia per una scarsa familiarità del nostro sistema giudiziario con queste tecniche, sebbene ormai consolidate in molti paesi. La direttiva 2004/35/EC sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale può essere letta, provocatoriamente, come un’occasione persa per proporre una metodologia condivisa per la valutazione economica del danno ambientale. La direttiva, motivata dal principio chi inquina paga e ispirata al CERCLA americano, non determina un criterio specifico per la monetizzazione del danno ma ribadisce la priorità della riparazione primaria rispetto alle misure complementari e compensative, di fatto ridimensionando il risarcimento per equivalente patrimoniale spesso utilizzato nelle azioni di risarcibilità per danno ambientale in Italia ex art. 18 della Legge 349/86. L’assenza di un criterio di quantificazione monetario del danno ambientale, stabilito a priori dalla legislazione vigente, permette, però, un interessante confronto e dibattito su quali siano le opportune metodologie di valutazione che si potrebbero utilizzare in modo efficace in sede processuale, tenuto conto dei vincoli operativi che spesso ne limitano l’azione e considerate le specificità dei singoli casi. Attualmente, gli spunti offerti agli economisti dalla direttiva europea, recepita nell’ordinamento italiano con il D. Lgs 152/2006, sono numerosi e riguardano la definizione delle misure della riparazione primaria e complementare, e ancora di più quelle che interessano la valutazione della cosiddette perdite provvisorie, interim losses value, ovvero di quei danni derivanti dalla mancata disponibilità della risorsa ambientale integra.

La quantificazione economica del danno ambientale nelle aule giudiziarie

TONIN, STEFANIA
2013-01-01

Abstract

La valutazione economica del danno ambientale permette di attribuire un valore monetario agli impatti negativi che si sono osservati sulle risorse naturali e sull’uomo in conseguenza di un evento dannoso. Il danno ambientale, in senso economico, è quindi configurabile come una variazione negativa del flusso di utilità proveniente dal godimento di un bene e la sua misura monetaria è pari alla somma in grado di fornire un flusso di utilità equivalente. La letteratura economica negli anni ha affinato diverse metodologie in grado di quantificare la perdita di benessere sofferta da chi ha subito il danno, basate sulle preferenze (rivelate o dichiarate) delle persone, ma sfortunatamente di difficile adozione in sede processuale, sia per gli elevati costi (temporali e monetari) sia per una scarsa familiarità del nostro sistema giudiziario con queste tecniche, sebbene ormai consolidate in molti paesi. La direttiva 2004/35/EC sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale può essere letta, provocatoriamente, come un’occasione persa per proporre una metodologia condivisa per la valutazione economica del danno ambientale. La direttiva, motivata dal principio chi inquina paga e ispirata al CERCLA americano, non determina un criterio specifico per la monetizzazione del danno ma ribadisce la priorità della riparazione primaria rispetto alle misure complementari e compensative, di fatto ridimensionando il risarcimento per equivalente patrimoniale spesso utilizzato nelle azioni di risarcibilità per danno ambientale in Italia ex art. 18 della Legge 349/86. L’assenza di un criterio di quantificazione monetario del danno ambientale, stabilito a priori dalla legislazione vigente, permette, però, un interessante confronto e dibattito su quali siano le opportune metodologie di valutazione che si potrebbero utilizzare in modo efficace in sede processuale, tenuto conto dei vincoli operativi che spesso ne limitano l’azione e considerate le specificità dei singoli casi. Attualmente, gli spunti offerti agli economisti dalla direttiva europea, recepita nell’ordinamento italiano con il D. Lgs 152/2006, sono numerosi e riguardano la definizione delle misure della riparazione primaria e complementare, e ancora di più quelle che interessano la valutazione della cosiddette perdite provvisorie, interim losses value, ovvero di quei danni derivanti dalla mancata disponibilità della risorsa ambientale integra.
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