Risalgono alla metà degli anni ’60 del Cinquecento le meditazioni di Andrea Palladio dedicate alla cupola da porre sull’incrocio tra la nave maggiore e il transetto del nuovo tempio a lui commissionato dai monaci di San Giorgio. Nel dar forma all’emisfera l’architetto, scartando dal solco già sondato, reimposta i termini del problema, con risultato denso di novità, e per molti versi contrastante con quanto fino ad allora elaborato dalla tradizione edificatoria locale. Organismi lignei cupolati erano apparsi fin dalla prima metà del secolo tredicesimo, con le cinque armature di San Marco, e riproposti a partire dalla seconda metà del XIV secolo in numerose chiese: macchine tutte molto simili tra loro, sempre strutturalmente indipendenti e di tessitura assai complicata. Con San Giorgio Maggiore si assiste ad una prima radicale novità costruttiva in fatto di armi lignei cupolati. Quella della chiesa benedettina è la prima cuba veneziana ad illuminazione sommitale. Al fine di situare la struttura della lanterna in contatto immediato con la cuba muraria, Andrea Palladio imbocca la strada della semplificazione estrema dell’orditura lignea, realizzando un semplice rivestimento delle superfici murarie estradossali dell’emisfera inferiore. La soluzione raggiunta a San Giorgio rimarrà un caso isolato; nessuna, tra le cupole lignee posteriori ne riprodurrà la tessitura. Tuttavia l’esempio della chiesa benedettina costituisce un caposaldo nell’evoluzione costruttiva degli armi cupolati veneziani: chiude per sempre, relegandola al passato, l’età delle sovracupole esemplate su San Marco e spalanca la via alla moltiplicazione dei tipi: risolti con nuovi sistemi d’orditura nel Redentore e le Zitelle, e con la nascita di nuove straordinarie strutture lignee cupolate dal comportamento a membrana, come quelle seicentesche di S. Pietro di Castello e della Salute, o a doppia calotta lignea, come quelle più tarde di San Simeon Piccolo, dei Gesuati e di San Geremia.

San Giorgio Maggiore e le cupole lignee lagunari

PIANA, MARIO
2009-01-01

Abstract

Risalgono alla metà degli anni ’60 del Cinquecento le meditazioni di Andrea Palladio dedicate alla cupola da porre sull’incrocio tra la nave maggiore e il transetto del nuovo tempio a lui commissionato dai monaci di San Giorgio. Nel dar forma all’emisfera l’architetto, scartando dal solco già sondato, reimposta i termini del problema, con risultato denso di novità, e per molti versi contrastante con quanto fino ad allora elaborato dalla tradizione edificatoria locale. Organismi lignei cupolati erano apparsi fin dalla prima metà del secolo tredicesimo, con le cinque armature di San Marco, e riproposti a partire dalla seconda metà del XIV secolo in numerose chiese: macchine tutte molto simili tra loro, sempre strutturalmente indipendenti e di tessitura assai complicata. Con San Giorgio Maggiore si assiste ad una prima radicale novità costruttiva in fatto di armi lignei cupolati. Quella della chiesa benedettina è la prima cuba veneziana ad illuminazione sommitale. Al fine di situare la struttura della lanterna in contatto immediato con la cuba muraria, Andrea Palladio imbocca la strada della semplificazione estrema dell’orditura lignea, realizzando un semplice rivestimento delle superfici murarie estradossali dell’emisfera inferiore. La soluzione raggiunta a San Giorgio rimarrà un caso isolato; nessuna, tra le cupole lignee posteriori ne riprodurrà la tessitura. Tuttavia l’esempio della chiesa benedettina costituisce un caposaldo nell’evoluzione costruttiva degli armi cupolati veneziani: chiude per sempre, relegandola al passato, l’età delle sovracupole esemplate su San Marco e spalanca la via alla moltiplicazione dei tipi: risolti con nuovi sistemi d’orditura nel Redentore e le Zitelle, e con la nascita di nuove straordinarie strutture lignee cupolate dal comportamento a membrana, come quelle seicentesche di S. Pietro di Castello e della Salute, o a doppia calotta lignea, come quelle più tarde di San Simeon Piccolo, dei Gesuati e di San Geremia.
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