Il saggio presenta uno studio approfondito della teoria del cinema che il critico di origine ungherese Béla Balazs presenta in tre libri nel corso degli anni '20, '30 e '40: "Der sichtbare Mensch" [L'uomo visibile] (1924), "Der Geist des Films" [Lo spirito del film] (1931), "Der Film. Werden und Wesen einer neuen Kunst [Il film. Divenire ed essenza di una nuova arte] (1945). Al centro di questa teoria - che dialoga da vicino con quella tradizione fisiognomica che dopo gli scritti settecenteschi di Lavater e Goethe era riaffiorata nei primi decenni del Novecento negli scritti di autori come Simmel, Klages, Benjamin e altri - sta l'idea secondo cui il cinema ha determinato nella cultura moderna una netta svolta verso il visivo, tanto da trasformare questa stessa cultura in una "cultura visuale". Grazie allo sguardo "fisiognomico" della cinepresa, che si esplica in particolar modo in quella forma di rappresentazione specificamente cinematografica che è l'inquadratura di primo piano (la Grossaufnahme), il cinema insegna secondo Balazs all'individuo moderno a riscoprire il mondo con occhi diversi, superando quella cecità che si era gradualmente affermata a causa del predominio della parola sull'immagine e della lettura sulla visione. Quello che viene riscoperto è un mondo intriso di "atmosfere" [Atmosphaere] e di "tonalità emotive" [Stimmungen] che sono come dei sentimenti estesi nello spazio. Un oggetto, quello delle atmosfere, che ha suscitato di recente l'attenzione di numerosi studiosi di estetica e di fenomenologia, mossi dal tentativo di inquadrare adeguatamente da un punto di vista teorico questa componente essenziale del tessuto ontologico del mondo con cui abbiamo quotidianamente a che fare: un mondo in cui oggetti e spazi vengono continuamente caratterizzati in termini sentimentali in quanto pervasi da "atmosfere" che secondo Balazs il cinema era particolarmente in grado di cogliere.

Il volto delle cose. Physiognomie, Stimmung e Atmosphaere nella teoria del cinema di Béla Balazs.

SOMAINI, ANTONIO
2007-01-01

Abstract

Il saggio presenta uno studio approfondito della teoria del cinema che il critico di origine ungherese Béla Balazs presenta in tre libri nel corso degli anni '20, '30 e '40: "Der sichtbare Mensch" [L'uomo visibile] (1924), "Der Geist des Films" [Lo spirito del film] (1931), "Der Film. Werden und Wesen einer neuen Kunst [Il film. Divenire ed essenza di una nuova arte] (1945). Al centro di questa teoria - che dialoga da vicino con quella tradizione fisiognomica che dopo gli scritti settecenteschi di Lavater e Goethe era riaffiorata nei primi decenni del Novecento negli scritti di autori come Simmel, Klages, Benjamin e altri - sta l'idea secondo cui il cinema ha determinato nella cultura moderna una netta svolta verso il visivo, tanto da trasformare questa stessa cultura in una "cultura visuale". Grazie allo sguardo "fisiognomico" della cinepresa, che si esplica in particolar modo in quella forma di rappresentazione specificamente cinematografica che è l'inquadratura di primo piano (la Grossaufnahme), il cinema insegna secondo Balazs all'individuo moderno a riscoprire il mondo con occhi diversi, superando quella cecità che si era gradualmente affermata a causa del predominio della parola sull'immagine e della lettura sulla visione. Quello che viene riscoperto è un mondo intriso di "atmosfere" [Atmosphaere] e di "tonalità emotive" [Stimmungen] che sono come dei sentimenti estesi nello spazio. Un oggetto, quello delle atmosfere, che ha suscitato di recente l'attenzione di numerosi studiosi di estetica e di fenomenologia, mossi dal tentativo di inquadrare adeguatamente da un punto di vista teorico questa componente essenziale del tessuto ontologico del mondo con cui abbiamo quotidianamente a che fare: un mondo in cui oggetti e spazi vengono continuamente caratterizzati in termini sentimentali in quanto pervasi da "atmosfere" che secondo Balazs il cinema era particolarmente in grado di cogliere.
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