Il 18 aprile del 1947 la Compagnia Italiana dei Grandi Alberghi (CIGA), proprietaria del Danieli, bandisce un concorso per l’ampliamento di palazzo Dandolo, sede del prestigioso albergo affacciato sul bacino di S. Marco in riva degli Schiavoni. Si trattava di costruire un nuovo edificio tra palazzo Dandolo e le Prigioni, demolendo le costruzioni insistenti sul lotto tra calle delle Rasse e calle degli Albanesi. Dal bando si evince che furono invitati a partecipare solo i professionisti degli albi di Venezia, lasciando loro “la più ampia libertà” di intervenire sulla nuova architettura, pur tenendo conto della “somma importanza paesistica ed ambientale della località”. Allo scadere di maggio i partecipanti al concorso “per le direttive architettoniche di un albergo da costruirsi a Venezia” consegnarono gli elaborati richiesti che furono valutati da una commissione nominata dalla stessa Compagnia. Nessuno, né i partecipanti al concorso, né il soprintendente, escluso dai lavori della commissione, né i cittadini veneziani, ai primi di luglio ebbero la possibilità di conoscere l’esito delle valutazioni della commissione, tale da scatenare un ampio dibattito sulla stampa locale. Sempre a luglio, nell’indifferenza più totale, cominciarono le opere di demolizione degli edifici preesistenti al fine di creare il vuoto necessario alla costruzione del nuovo complesso alberghiero. Ma quale fu l’esito del concorso e chi lo vinse? Pur rimando una vicenda tutta italiana, Virginio Vallot (1901-1982), vincitore del concorso per la nuova stazione di S. Lucia, ricevette il primo premio, ex aequo con l'architetto Giorgio Wenter Marini, e vide realizzato il suo progetto che presto diventò un nuovo “caso” veneziano. La Compagnia si era riservata la possibilità di assegnare alcuni premi monetari ai primi tre classificati e, nello stesso tempo, di far realizzare anche a un non concorrente il nuovo edificio “con la più ampia libertà di esecuzione”. Trasformò l’esito del concorso in una vera e propria querelle che si protrasse negli anni a seguire, alcuni definirono il Danielino come un prodotto “modernisticamente generico” (Maretto 1969) e una “timida e inespressiva quanto impropria congiunzione in una sequenza che, da Palazzo Ducale attraverso le Prigioni si chiude con il Danieli, determinando un vuoto vero e proprio di tensione” (Mazzariol 1985).

L’ampliamento dell’hotel Danieli a Venezia : storie di concorsi mancati

FERRIGHI, ALESSANDRA
2017-01-01

Abstract

Il 18 aprile del 1947 la Compagnia Italiana dei Grandi Alberghi (CIGA), proprietaria del Danieli, bandisce un concorso per l’ampliamento di palazzo Dandolo, sede del prestigioso albergo affacciato sul bacino di S. Marco in riva degli Schiavoni. Si trattava di costruire un nuovo edificio tra palazzo Dandolo e le Prigioni, demolendo le costruzioni insistenti sul lotto tra calle delle Rasse e calle degli Albanesi. Dal bando si evince che furono invitati a partecipare solo i professionisti degli albi di Venezia, lasciando loro “la più ampia libertà” di intervenire sulla nuova architettura, pur tenendo conto della “somma importanza paesistica ed ambientale della località”. Allo scadere di maggio i partecipanti al concorso “per le direttive architettoniche di un albergo da costruirsi a Venezia” consegnarono gli elaborati richiesti che furono valutati da una commissione nominata dalla stessa Compagnia. Nessuno, né i partecipanti al concorso, né il soprintendente, escluso dai lavori della commissione, né i cittadini veneziani, ai primi di luglio ebbero la possibilità di conoscere l’esito delle valutazioni della commissione, tale da scatenare un ampio dibattito sulla stampa locale. Sempre a luglio, nell’indifferenza più totale, cominciarono le opere di demolizione degli edifici preesistenti al fine di creare il vuoto necessario alla costruzione del nuovo complesso alberghiero. Ma quale fu l’esito del concorso e chi lo vinse? Pur rimando una vicenda tutta italiana, Virginio Vallot (1901-1982), vincitore del concorso per la nuova stazione di S. Lucia, ricevette il primo premio, ex aequo con l'architetto Giorgio Wenter Marini, e vide realizzato il suo progetto che presto diventò un nuovo “caso” veneziano. La Compagnia si era riservata la possibilità di assegnare alcuni premi monetari ai primi tre classificati e, nello stesso tempo, di far realizzare anche a un non concorrente il nuovo edificio “con la più ampia libertà di esecuzione”. Trasformò l’esito del concorso in una vera e propria querelle che si protrasse negli anni a seguire, alcuni definirono il Danielino come un prodotto “modernisticamente generico” (Maretto 1969) e una “timida e inespressiva quanto impropria congiunzione in una sequenza che, da Palazzo Ducale attraverso le Prigioni si chiude con il Danieli, determinando un vuoto vero e proprio di tensione” (Mazzariol 1985).
2017
9788899930028
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