Il saggio propone una lettura dell’impianto prospettico di alcuni affreschi presenti nella Cappella Ovetari realizzati nel 1457 da Andrea Mantegna. I risultati attenuti dalla restituzione prospettica di dei diversi impianti figurativi sembrano confermare la nota posizione del Mantegna sospesa tra tradizione, innovazione e sperimentalismo prospettico: l’artista padovano, per alcune scelte figurative, risulta molto vicino alla scuola giottesca, mentre la perizia grafica con la quale applica le leggi della prospettiva lo pone in perfetta continuità con l’insegnamento albertiano spingendosi, come abbiamo visto, fino all’estremizzazione della regola pratica con la scelta di insoliti punti di vista. Nonostante queste deroghe, limitate ai pochi episodi già esposti, Mantegna in questa sua prima fase artistica non ha comunque l’ambizione, o forse neanche l’interesse, di creare all’interno della Cappella Ovetari uno spazio prospettico unitario, ovvero una composizione pittorica strutturata intorno a un unico punto di vista, facilmente accessibile all’osservatore, e capace di generare uno spazio illusorio che sfondi otticamente i limiti fisici della parete/quadro. Le Storie di San Giacomo nella cappella padovana sono invece concepite come delle celle narrative, autonome dal punto di vista prospettico ma tutte in una precisa continuità narrativa che procede da sinistra a destra, stilisticamente molto più vicine alla tradizione giottesca e ai già citati bassorilievi del Donatello. Queste prospettive isolate si leggono come le pagine di un libro, strutturate cioè in perfetta sequenza logica: l’uso della prospettiva e del realismo ottico sono solo di supporto allo scopo narrativo celato in un apparato iconico “non incline alle allusioni e agli effetti menzogneri”. L’unico elemento di continuità che lega le diverse celle pittoriche allo spazio reale che le ospita è rappresentato dalle finte cornici che le inquadrano, dipinte in un’apparente tridimensionalità, capaci di stabilire una continuità visiva e stilistica con la cappella, proprio come accade nelle storie dipinte da Giotto per la Basilica di Assisi o negli affreschi nella cappella degli Scrovegni a Padova.

Gli affreschi della cappella Ovetari a Padova: nuove ipotesi interpretative sugli apparati prospettici

D'Acunto, Giuseppe
2019-01-01

Abstract

Il saggio propone una lettura dell’impianto prospettico di alcuni affreschi presenti nella Cappella Ovetari realizzati nel 1457 da Andrea Mantegna. I risultati attenuti dalla restituzione prospettica di dei diversi impianti figurativi sembrano confermare la nota posizione del Mantegna sospesa tra tradizione, innovazione e sperimentalismo prospettico: l’artista padovano, per alcune scelte figurative, risulta molto vicino alla scuola giottesca, mentre la perizia grafica con la quale applica le leggi della prospettiva lo pone in perfetta continuità con l’insegnamento albertiano spingendosi, come abbiamo visto, fino all’estremizzazione della regola pratica con la scelta di insoliti punti di vista. Nonostante queste deroghe, limitate ai pochi episodi già esposti, Mantegna in questa sua prima fase artistica non ha comunque l’ambizione, o forse neanche l’interesse, di creare all’interno della Cappella Ovetari uno spazio prospettico unitario, ovvero una composizione pittorica strutturata intorno a un unico punto di vista, facilmente accessibile all’osservatore, e capace di generare uno spazio illusorio che sfondi otticamente i limiti fisici della parete/quadro. Le Storie di San Giacomo nella cappella padovana sono invece concepite come delle celle narrative, autonome dal punto di vista prospettico ma tutte in una precisa continuità narrativa che procede da sinistra a destra, stilisticamente molto più vicine alla tradizione giottesca e ai già citati bassorilievi del Donatello. Queste prospettive isolate si leggono come le pagine di un libro, strutturate cioè in perfetta sequenza logica: l’uso della prospettiva e del realismo ottico sono solo di supporto allo scopo narrativo celato in un apparato iconico “non incline alle allusioni e agli effetti menzogneri”. L’unico elemento di continuità che lega le diverse celle pittoriche allo spazio reale che le ospita è rappresentato dalle finte cornici che le inquadrano, dipinte in un’apparente tridimensionalità, capaci di stabilire una continuità visiva e stilistica con la cappella, proprio come accade nelle storie dipinte da Giotto per la Basilica di Assisi o negli affreschi nella cappella degli Scrovegni a Padova.
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