L’antica casa da stazio dei Grimani di Santa Maria Formosa, pervenuta a seguito di una tormentata vicenda ereditaria in possesso dei fratelli Giovanni, Vettore e Marco, conobbe un primo ciclo d’interventi a partire dal 1532, quando i primi due vi stabilirono la propria residenza rispettivamente al primo e al secondo piano, mentre Marco trovò alloggio altrove. Dalla permanenza generalizzata di elementi costruttivi più antichi appare certo che tali lavori si siano per lo più limitati al semplice rinnovo della veste architettonica dell’edificio, attuato con il rifacimento degli elementi lapidei di porte e finestre e con la ripresa del coronamento, compiuta per uniformare la quota d’imposta delle coperture. I lavori lasciarono sostanzialmente invariato il distributivo interno, ad esclusione dei collegamenti verticali. Fra tali opere spicca l’apparizione nell’ala est dell’edificio della «loggia dipinta», realizzata con l’intento di creare un peristilio, riproponendo un modello organizzativo ispirato alla «casa degli antichi», che troverà compimento solo nel settimo decennio del secolo. La soluzione costruttiva adottata, risolta con la tripartizione degli architravi, segnala la volontà di citare un motivo costruttivo appartenente al mondo della romanità classica. È probabile che ad aver suggerito l’adozione di tale lucido sistema sia stato Sebastiano Serlio, forte delle sue esperienze antiquarie e a perfetta cognizione di quanto si era elaborato a Roma nei decenni precedenti. Per decorare la sua dimora Giovanni si affidò a uno stuolo di artisti della Maniera. Giovanni da Udine, Camillo Mantovano, Cecchino Salviati e Francesco Menzocchi. Il completamento della fabbrica prese avvio dopo il 1558, quando Giovanni divenne l’unico proprietario del bene, Con l’erezione delle due nuove ali il palazzo venne dotato di vasti ambienti di rappresentanza, quali la Stanza a fogliami e la Tribuna. L’avventura edificatoria prolungatasi per oltre un trentennio venne sigillata sul portale d’accesso con l’orgogliosa dedicazione: Genio urbis augustae usuique amicorum. Nel XIX secolo, scomparso Michele, l’ultimo dei Grimani, il palazzo passò a una società di antiquari, ai Minerbi, anch’essi famiglia di antiquari, e infine alla società Olivetti. Nel 1982, quando divenne di proprietà pubblica, il bene versava in condizioni gravi e preoccupanti: le sale apparivano fatiscenti, le strutture gravemente compromesse, le decorazioni e finiture in pessimo stato conservativo. Preceduta da alcuni interventi d’urgenza volti a tamponare le situazioni di immediato pericolo e da una prima serie di rilievi, studi, campagne stratigrafiche e analisi chimico-fisiche, una prima fase dei lavori, avviata nel 1984, è stata indirizzata ad affrontare i problemi dovuti alle infiltrazioni di acque meteoriche e a risanare i mancamenti strutturali in essere delle membrature murarie, col ripasso dei tetti, il rinnovo degli infissi, il risanamento delle fondazioni e del piede delle murature. Un secondo gruppo di operazioni, condotte sui solai e sulle membrature voltate o architravate – e strettamente intersecato con i lavori di restauro dei cicli decorativi, con gli interventi tesi a riassicurare la stabilità dei soffitti pericolanti, a recuperare e ricollocare in situ vaste porzioni di decorazione crollate, a consolidare pulire e proteggere stucchi e affreschi degradati – ha infine condotto al completamento degli interventi mirati a ridonare la necessaria stabilità alla grande fabbrica. Un terzo ciclo di opere ha mirato a consolidare, integrare e proteggere le preziose finiture edilizie della fabbrica: il palazzo conserva non solo il più importante ciclo decorativo cinquecentesco realizzato in un edificio privato cittadino, ma anche i più interessanti ed estesi nuclei di intonaci e pavimentazioni del XVI secolo. Un quarto gruppo di operazioni, infine, è stato dedicato alla difesa del pianterreno dalle invasioni mareali e alla formazione delle dotazioni impiantistiche. Completato il restauro il palazzo è stato consegnato alla Soprintendenza speciale per il Polo Museale, che ne ha curato l’allestimento, aprendolo alla visita nel 2008. La lunga durata dell’intervento, sviluppatosi in un arco temporale di venticinque anni, rende conto della complessità delle operazioni dedicate al restauro della fabbrica. Un lasso di tempo prolungato, certo dovuto anche all’esiguità dei fondi messi annualmente a disposizione dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, da sempre povero di risorse. Scarsi finanziamenti che però hanno rappresentato un fattore positivo, consentendo ai progettisti e direttori dei lavori di affrontare meditatamente i molteplici e variegati problemi in essere, accompagnandoli via via con campagne di analisi, studi e approfondimenti tecnici, liberi da ogni fretta, da qualsivoglia imperio d’urgenza.

Un restauro di "lunga durata" : il Palazzo dei Grimani a Santa Maria Formosa

Piana, Mario
2019-01-01

Abstract

L’antica casa da stazio dei Grimani di Santa Maria Formosa, pervenuta a seguito di una tormentata vicenda ereditaria in possesso dei fratelli Giovanni, Vettore e Marco, conobbe un primo ciclo d’interventi a partire dal 1532, quando i primi due vi stabilirono la propria residenza rispettivamente al primo e al secondo piano, mentre Marco trovò alloggio altrove. Dalla permanenza generalizzata di elementi costruttivi più antichi appare certo che tali lavori si siano per lo più limitati al semplice rinnovo della veste architettonica dell’edificio, attuato con il rifacimento degli elementi lapidei di porte e finestre e con la ripresa del coronamento, compiuta per uniformare la quota d’imposta delle coperture. I lavori lasciarono sostanzialmente invariato il distributivo interno, ad esclusione dei collegamenti verticali. Fra tali opere spicca l’apparizione nell’ala est dell’edificio della «loggia dipinta», realizzata con l’intento di creare un peristilio, riproponendo un modello organizzativo ispirato alla «casa degli antichi», che troverà compimento solo nel settimo decennio del secolo. La soluzione costruttiva adottata, risolta con la tripartizione degli architravi, segnala la volontà di citare un motivo costruttivo appartenente al mondo della romanità classica. È probabile che ad aver suggerito l’adozione di tale lucido sistema sia stato Sebastiano Serlio, forte delle sue esperienze antiquarie e a perfetta cognizione di quanto si era elaborato a Roma nei decenni precedenti. Per decorare la sua dimora Giovanni si affidò a uno stuolo di artisti della Maniera. Giovanni da Udine, Camillo Mantovano, Cecchino Salviati e Francesco Menzocchi. Il completamento della fabbrica prese avvio dopo il 1558, quando Giovanni divenne l’unico proprietario del bene, Con l’erezione delle due nuove ali il palazzo venne dotato di vasti ambienti di rappresentanza, quali la Stanza a fogliami e la Tribuna. L’avventura edificatoria prolungatasi per oltre un trentennio venne sigillata sul portale d’accesso con l’orgogliosa dedicazione: Genio urbis augustae usuique amicorum. Nel XIX secolo, scomparso Michele, l’ultimo dei Grimani, il palazzo passò a una società di antiquari, ai Minerbi, anch’essi famiglia di antiquari, e infine alla società Olivetti. Nel 1982, quando divenne di proprietà pubblica, il bene versava in condizioni gravi e preoccupanti: le sale apparivano fatiscenti, le strutture gravemente compromesse, le decorazioni e finiture in pessimo stato conservativo. Preceduta da alcuni interventi d’urgenza volti a tamponare le situazioni di immediato pericolo e da una prima serie di rilievi, studi, campagne stratigrafiche e analisi chimico-fisiche, una prima fase dei lavori, avviata nel 1984, è stata indirizzata ad affrontare i problemi dovuti alle infiltrazioni di acque meteoriche e a risanare i mancamenti strutturali in essere delle membrature murarie, col ripasso dei tetti, il rinnovo degli infissi, il risanamento delle fondazioni e del piede delle murature. Un secondo gruppo di operazioni, condotte sui solai e sulle membrature voltate o architravate – e strettamente intersecato con i lavori di restauro dei cicli decorativi, con gli interventi tesi a riassicurare la stabilità dei soffitti pericolanti, a recuperare e ricollocare in situ vaste porzioni di decorazione crollate, a consolidare pulire e proteggere stucchi e affreschi degradati – ha infine condotto al completamento degli interventi mirati a ridonare la necessaria stabilità alla grande fabbrica. Un terzo ciclo di opere ha mirato a consolidare, integrare e proteggere le preziose finiture edilizie della fabbrica: il palazzo conserva non solo il più importante ciclo decorativo cinquecentesco realizzato in un edificio privato cittadino, ma anche i più interessanti ed estesi nuclei di intonaci e pavimentazioni del XVI secolo. Un quarto gruppo di operazioni, infine, è stato dedicato alla difesa del pianterreno dalle invasioni mareali e alla formazione delle dotazioni impiantistiche. Completato il restauro il palazzo è stato consegnato alla Soprintendenza speciale per il Polo Museale, che ne ha curato l’allestimento, aprendolo alla visita nel 2008. La lunga durata dell’intervento, sviluppatosi in un arco temporale di venticinque anni, rende conto della complessità delle operazioni dedicate al restauro della fabbrica. Un lasso di tempo prolungato, certo dovuto anche all’esiguità dei fondi messi annualmente a disposizione dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, da sempre povero di risorse. Scarsi finanziamenti che però hanno rappresentato un fattore positivo, consentendo ai progettisti e direttori dei lavori di affrontare meditatamente i molteplici e variegati problemi in essere, accompagnandoli via via con campagne di analisi, studi e approfondimenti tecnici, liberi da ogni fretta, da qualsivoglia imperio d’urgenza.
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