La stratificazione delle immagini contemporanee, spesso ottenuta per montaggi e giustapposizioni, produce oggetti espansi che adoperano, riposizionandoli, frammenti diffusamente distribuiti nel tempo e nello spazio. Per comprendere la complessità interna di questi re-enactments, è oggi necessario ripercorrere la migrazione delle immagini che li compongono: dagli archivi da cui derivano fino a quelli in cui saranno nuovamente collocati. Soprattutto nell’ambito della performance art – e più in generale delle esperienze time-based –, gli archivi d’arte contemporanea si prestano a essere non solo origine, ma soprattutto meta per un’abbondanza di immagini sincroniche che, come “oggetti discreti” in un dispositivo aperto, rimangono materiale occorrente anche quando l’esperienza live sarà conclusa. Si tratta di afterimages: impressioni della memoria la cui composizione (o parte di essa) resiste al tempo che le separa dalle loro fonti. Con queste premesse, e tracciando il percorso migratorio che porta ogni riferimento d’archivio a esservi ricollocato dopo un processo di riconfigurazione, il contributo propone di definire il ruolo strutturale e funzionale che l’immagine assume nelle varie fasi di trasmutazione (da before- ad after-image). In particolare, mutuando la metafora dall’ambito medico-scientifico e riconoscendo una certa sintomatologia anche nella produzione visiva contemporanea, si cercherà di far emergere i risvolti estetici che il concetto di afterimage assume nell’ambito performativo. D’accordo con il concetto di post-performance introdotto dalla storica dell’arte francese Marie de Brugerolle, la seguente proposta proverà a descrivere qualsiasi oggetto-orfano della sua esperienza live come l’unico in grado di sopravviverle (in quanto “testimone” più che “documento”). I risvolti di questo approccio teorico permetteranno tanto un’indagine sulla complessità compositiva delle immagini provenienti dall’archivio – o a esso riconsegnate –, quanto stimoleranno una riflessione sulla produzione artistica contemporanea come un insieme di riferimenti granulari di cui l’artista è un libero – e quasi mai filologico – narratore.

Da before- ad after-images. Gli oggetti orfani e la mostra come archivio

Mudu, Stefano
2020-01-01

Abstract

La stratificazione delle immagini contemporanee, spesso ottenuta per montaggi e giustapposizioni, produce oggetti espansi che adoperano, riposizionandoli, frammenti diffusamente distribuiti nel tempo e nello spazio. Per comprendere la complessità interna di questi re-enactments, è oggi necessario ripercorrere la migrazione delle immagini che li compongono: dagli archivi da cui derivano fino a quelli in cui saranno nuovamente collocati. Soprattutto nell’ambito della performance art – e più in generale delle esperienze time-based –, gli archivi d’arte contemporanea si prestano a essere non solo origine, ma soprattutto meta per un’abbondanza di immagini sincroniche che, come “oggetti discreti” in un dispositivo aperto, rimangono materiale occorrente anche quando l’esperienza live sarà conclusa. Si tratta di afterimages: impressioni della memoria la cui composizione (o parte di essa) resiste al tempo che le separa dalle loro fonti. Con queste premesse, e tracciando il percorso migratorio che porta ogni riferimento d’archivio a esservi ricollocato dopo un processo di riconfigurazione, il contributo propone di definire il ruolo strutturale e funzionale che l’immagine assume nelle varie fasi di trasmutazione (da before- ad after-image). In particolare, mutuando la metafora dall’ambito medico-scientifico e riconoscendo una certa sintomatologia anche nella produzione visiva contemporanea, si cercherà di far emergere i risvolti estetici che il concetto di afterimage assume nell’ambito performativo. D’accordo con il concetto di post-performance introdotto dalla storica dell’arte francese Marie de Brugerolle, la seguente proposta proverà a descrivere qualsiasi oggetto-orfano della sua esperienza live come l’unico in grado di sopravviverle (in quanto “testimone” più che “documento”). I risvolti di questo approccio teorico permetteranno tanto un’indagine sulla complessità compositiva delle immagini provenienti dall’archivio – o a esso riconsegnate –, quanto stimoleranno una riflessione sulla produzione artistica contemporanea come un insieme di riferimenti granulari di cui l’artista è un libero – e quasi mai filologico – narratore.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11578/309296
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