Nell’affollato panorama delle riviste di architettura italiane degli anni ’80 e ‘90 del Novecento, tra le più autorevoli a livello internazionale, la ventennale traiettoria di “Rassegna” si configura del tutto autonomamente rispetto ad ogni altra testata precedente e successiva. L’apparente eterogeneità dei titoli traccia tra il 1979 e il 1999 un itinerario argomentativo, geografico e scalare dai Piccoli oggetti alle Grandi macchine, che costruisce un proprio logos nell’incessante attività gregottiana del «fabbricare riviste», liberato dal compito -affidato alla simmetrica “Casabella”- di affrontare l’architettura contemporanea in presa diretta. La collezione di anamorfosi architettoniche raccolte nell’inusitata “Rassegna” di temi disciplinari, sembra potenziare il principio monografico dell’esperimento “Edilizia Moderna”, proponendo uno sguardo diagonale sulla cultura del progetto. Le pratiche sezionate criticamente costruiscono, numero dopo numero, una speciale koinè prodotta dall’interazione dei saperi e dallo scambio tra le diverse declinazioni del progettare. Il progetto grafico stesso della rivista escogitato da Pierluigi Cerri è al contempo invenzione e programma: i titoli dei volumi sono tra parentesi, rinviando così l’appartenenza di ogni argomento a un esteso e prismatico discorso-progetto, radicato in una politica editoriale intransigente e schierata. “Rassegna” affronta programmaticamente i nodi della «modificazione», catalizzando gli argomenti scaturiti dal «dispositivo Gregotti» per rielaborare il paradosso di una cultura del progetto moderno risolta nella sua stessa incompiutezza. I 77 idiosincratici frammenti della rivista, essa stessa “interrotta”, restituiscono l’ampiezza di questo osservatorio conteso tra regola ed eccezione, tra principio e sua contraddizione, tra asserzione e cortocircuito: i volumi 5 e 12 sono dedicati essi stessi al mondo delle riviste di architettura. Queste schegge di archeologia del sapere architettonico del Moderno costituiscono di per sé un capitolo specifico tra le riviste disciplinari, per aver dimostrativamente rappresentato l’estensione critica e argomentativa della cultura progettuale che esse possono ancora trasmettere. Recinti, il primo numero, ne è paradigma e manifesto ideologico: esprime la necessità di tracciare i confini dell’architettura dell’ambiente attraverso «la facoltà di scegliere e di giudicare». Al penultimo, Arcipelago Europa, è affidato il ruolo di concludere idealmente l’esperimento realizzando un articolato Atlas che misura la profondità della crisi dell’architettura contemporanea, chiamando a raccolta il patrimonio morfologico-storico che ne costituisce, ancora, l’intrinseca identità e il fondamento futuro. Forse l’essenza “quantistica” di “Rassegna”, della sua trasmutante cifra visionaria, onirica, paradigmatica e culturalista, sta nell’aver tentato di ristabilire l’equilibrio tra mezzi e fini dell'architettura attraverso la dimensione di lunga durata della teoria del progetto e dei suoi molteplici materiali. È l’ultimo manifesto creativo di un’idea coerente di cultura disciplinare basata sull’anomalia della regola: warburghiana «memoria ansiosa, trasformata in conoscenza».

Il caso "Rassegna". L'anomalia della regola

Guido Morpurgo
2022-01-01

Abstract

Nell’affollato panorama delle riviste di architettura italiane degli anni ’80 e ‘90 del Novecento, tra le più autorevoli a livello internazionale, la ventennale traiettoria di “Rassegna” si configura del tutto autonomamente rispetto ad ogni altra testata precedente e successiva. L’apparente eterogeneità dei titoli traccia tra il 1979 e il 1999 un itinerario argomentativo, geografico e scalare dai Piccoli oggetti alle Grandi macchine, che costruisce un proprio logos nell’incessante attività gregottiana del «fabbricare riviste», liberato dal compito -affidato alla simmetrica “Casabella”- di affrontare l’architettura contemporanea in presa diretta. La collezione di anamorfosi architettoniche raccolte nell’inusitata “Rassegna” di temi disciplinari, sembra potenziare il principio monografico dell’esperimento “Edilizia Moderna”, proponendo uno sguardo diagonale sulla cultura del progetto. Le pratiche sezionate criticamente costruiscono, numero dopo numero, una speciale koinè prodotta dall’interazione dei saperi e dallo scambio tra le diverse declinazioni del progettare. Il progetto grafico stesso della rivista escogitato da Pierluigi Cerri è al contempo invenzione e programma: i titoli dei volumi sono tra parentesi, rinviando così l’appartenenza di ogni argomento a un esteso e prismatico discorso-progetto, radicato in una politica editoriale intransigente e schierata. “Rassegna” affronta programmaticamente i nodi della «modificazione», catalizzando gli argomenti scaturiti dal «dispositivo Gregotti» per rielaborare il paradosso di una cultura del progetto moderno risolta nella sua stessa incompiutezza. I 77 idiosincratici frammenti della rivista, essa stessa “interrotta”, restituiscono l’ampiezza di questo osservatorio conteso tra regola ed eccezione, tra principio e sua contraddizione, tra asserzione e cortocircuito: i volumi 5 e 12 sono dedicati essi stessi al mondo delle riviste di architettura. Queste schegge di archeologia del sapere architettonico del Moderno costituiscono di per sé un capitolo specifico tra le riviste disciplinari, per aver dimostrativamente rappresentato l’estensione critica e argomentativa della cultura progettuale che esse possono ancora trasmettere. Recinti, il primo numero, ne è paradigma e manifesto ideologico: esprime la necessità di tracciare i confini dell’architettura dell’ambiente attraverso «la facoltà di scegliere e di giudicare». Al penultimo, Arcipelago Europa, è affidato il ruolo di concludere idealmente l’esperimento realizzando un articolato Atlas che misura la profondità della crisi dell’architettura contemporanea, chiamando a raccolta il patrimonio morfologico-storico che ne costituisce, ancora, l’intrinseca identità e il fondamento futuro. Forse l’essenza “quantistica” di “Rassegna”, della sua trasmutante cifra visionaria, onirica, paradigmatica e culturalista, sta nell’aver tentato di ristabilire l’equilibrio tra mezzi e fini dell'architettura attraverso la dimensione di lunga durata della teoria del progetto e dei suoi molteplici materiali. È l’ultimo manifesto creativo di un’idea coerente di cultura disciplinare basata sull’anomalia della regola: warburghiana «memoria ansiosa, trasformata in conoscenza».
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11578/316235
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