Il saggio, nel solco degli studî su attivismo politico e performance, affronta la modalità democratica con cui Carlo Goldoni riscatta la vita soffocata dei subalterni attraverso una lingua e una invenzione teatrale capaci di smascherare ciò che nel passato è stato nascosto e silenziato: il volto. A partire dall’intuizione di Antonio Gramsci su Goldoni democratico prima della democrazia, lo studio raccoglie un ampio spettro della teoresi scenica intorno ai valori culturali all’opera nella scoperta del volto dell’interprete, e contro l’uso della maschera, da cui deriva l’esperienza intuitiva di un’idea di democrazia futura come affrancamento culturale, e come osservazione e riflessione della differenza nell’incontro mimetico con l’altro. Il tragitto evoca e comprende scritti di Luigi Riccoboni, Jean-Georges Noverre, La Clairon, Pietro Napoli Signorelli, Francesco Righetti, Giuseppe Compagnoni e Giovanni Angelo Canova. Tale scoperta della luce del volto come incontro dell’altro in Goldoni, che incarna il primato della vita come riconoscimento e partecipazione di una Europa illuminata e dei diritti, si disperde di fronte al dissidio tutto moderno fra le Sovranità. Non ci sarà più un volto a brillare per l’Europa dei confini e degli Stati-nazione delle democrazie liberali, così come si palesa in modo emblematico nel film Il volto (Ansiktet, 1958) di Ingmar Bergman. Solo forse da un’«année zéro» della «visagéité», come proposto da Gilles Deleuze e Félix Guattari, è possibile assegnare, a un’idea di corpo reticolare e nomade, la capacità di disfare il viso per evitare che la politica neghi, attraverso gerarchie trascendenti, il potere della vita. Un tale disegno reticolare sembra essersi completato in alcuni dissimili testi della scena performativa contemporanea, tra cui la pièce teatrale di Rainer Werner Fassbinder, Das Kaffeehaus ovvero “La bottega del caffè” da Carlo Goldoni (1969), e Visage (1961), «azione invisibile – tutta su nastro» di Luciano Berio per la voce di Cathy Berberian.

Carlo Goldoni e la democrazia del volto

Stefano Tomassini
2012-01-01

Abstract

Il saggio, nel solco degli studî su attivismo politico e performance, affronta la modalità democratica con cui Carlo Goldoni riscatta la vita soffocata dei subalterni attraverso una lingua e una invenzione teatrale capaci di smascherare ciò che nel passato è stato nascosto e silenziato: il volto. A partire dall’intuizione di Antonio Gramsci su Goldoni democratico prima della democrazia, lo studio raccoglie un ampio spettro della teoresi scenica intorno ai valori culturali all’opera nella scoperta del volto dell’interprete, e contro l’uso della maschera, da cui deriva l’esperienza intuitiva di un’idea di democrazia futura come affrancamento culturale, e come osservazione e riflessione della differenza nell’incontro mimetico con l’altro. Il tragitto evoca e comprende scritti di Luigi Riccoboni, Jean-Georges Noverre, La Clairon, Pietro Napoli Signorelli, Francesco Righetti, Giuseppe Compagnoni e Giovanni Angelo Canova. Tale scoperta della luce del volto come incontro dell’altro in Goldoni, che incarna il primato della vita come riconoscimento e partecipazione di una Europa illuminata e dei diritti, si disperde di fronte al dissidio tutto moderno fra le Sovranità. Non ci sarà più un volto a brillare per l’Europa dei confini e degli Stati-nazione delle democrazie liberali, così come si palesa in modo emblematico nel film Il volto (Ansiktet, 1958) di Ingmar Bergman. Solo forse da un’«année zéro» della «visagéité», come proposto da Gilles Deleuze e Félix Guattari, è possibile assegnare, a un’idea di corpo reticolare e nomade, la capacità di disfare il viso per evitare che la politica neghi, attraverso gerarchie trascendenti, il potere della vita. Un tale disegno reticolare sembra essersi completato in alcuni dissimili testi della scena performativa contemporanea, tra cui la pièce teatrale di Rainer Werner Fassbinder, Das Kaffeehaus ovvero “La bottega del caffè” da Carlo Goldoni (1969), e Visage (1961), «azione invisibile – tutta su nastro» di Luciano Berio per la voce di Cathy Berberian.
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