Il saggio approfondisce la rappresentazione dell’Ultima Cena in un’epoca, quella manierista, in cui la libertà artistica su uno dei più potenti temi dell’immaginario collettivo dovette subire il pesante controllo delle autorità religiose in nome della chiarezza e del decoro proprie delle sacre scritture. Trattati e prescrizioni locali furono concordi nel condannare e reprimere lo spirito licenzioso e disinibito precedente al concilio di Trento che sancì l’avvio della Controriforma e dunque la liceità dell’uso delle immagini in campo religioso. Il noto esempio vinciano, rispettoso delle indicazioni albertiane sulla composizione spaziale, sui rapporti proporzionali tra gli elementi compositivi della scena, sul livello sociale dei personaggi, non fermerà la fervida immaginazione di Tintoretto nello stravolgere non solo la rappresentazione dell’istituzione del sacramento eucaristico, ma anche il contesto in cui viene ambientata la narrazione. A differenza del Veronese, costretto a subire un processo da parte dell’Inquisizione per non aver rispettato le norme iconografiche stabilite dal Concilio tridentino, Tintoretto riuscirà con tenacia a difendere il suo operato e la sua libertà di pensiero, senza accettare compromessi dovuti alle pressanti censure religiose. Confrontando alcune Ultime Cene di Jacopo Robusti e volgendo lo sguardo sia sui singolari momenti temporali rappresentati, sia soprattutto sulle architetture dipinte, si ci rende conto, mediante analisi 2D e ricostruzioni 3D, come il Robusti destabilizzi lo sguardo dell’osservatore inserendo i suoi personaggi in luoghi inopportuni ed eludendo tuttavia gli intransigenti funzionari del temuto organo di controllo cattolico. Si tratta di un’eresia rappresentativa in grado di riconfigurare lo spazio sacro dell’Ultima Cena superando le regole comunemente accettate o imposte dalla Chiesa mediante l’introduzione di audaci scorci prospettici in cui si attua, a differenza del Caliari, una democratizzazione dello spazio sacro.

Terribilis ingenio: l’eresia di Tintoretto nello spazio sacro dell’Ultima Cena = Terribilis Ingenio: Tintoretto’s Heresy in the Sacred Space of the Last Supper

Liva, Gabriella
2022-01-01

Abstract

Il saggio approfondisce la rappresentazione dell’Ultima Cena in un’epoca, quella manierista, in cui la libertà artistica su uno dei più potenti temi dell’immaginario collettivo dovette subire il pesante controllo delle autorità religiose in nome della chiarezza e del decoro proprie delle sacre scritture. Trattati e prescrizioni locali furono concordi nel condannare e reprimere lo spirito licenzioso e disinibito precedente al concilio di Trento che sancì l’avvio della Controriforma e dunque la liceità dell’uso delle immagini in campo religioso. Il noto esempio vinciano, rispettoso delle indicazioni albertiane sulla composizione spaziale, sui rapporti proporzionali tra gli elementi compositivi della scena, sul livello sociale dei personaggi, non fermerà la fervida immaginazione di Tintoretto nello stravolgere non solo la rappresentazione dell’istituzione del sacramento eucaristico, ma anche il contesto in cui viene ambientata la narrazione. A differenza del Veronese, costretto a subire un processo da parte dell’Inquisizione per non aver rispettato le norme iconografiche stabilite dal Concilio tridentino, Tintoretto riuscirà con tenacia a difendere il suo operato e la sua libertà di pensiero, senza accettare compromessi dovuti alle pressanti censure religiose. Confrontando alcune Ultime Cene di Jacopo Robusti e volgendo lo sguardo sia sui singolari momenti temporali rappresentati, sia soprattutto sulle architetture dipinte, si ci rende conto, mediante analisi 2D e ricostruzioni 3D, come il Robusti destabilizzi lo sguardo dell’osservatore inserendo i suoi personaggi in luoghi inopportuni ed eludendo tuttavia gli intransigenti funzionari del temuto organo di controllo cattolico. Si tratta di un’eresia rappresentativa in grado di riconfigurare lo spazio sacro dell’Ultima Cena superando le regole comunemente accettate o imposte dalla Chiesa mediante l’introduzione di audaci scorci prospettici in cui si attua, a differenza del Caliari, una democratizzazione dello spazio sacro.
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