Attraverso quali forme praticare il necessario dibattito sui possibili significati della disciplina progettuale nella contemporaneità? Se la ricerca passa ineludibilmente attraverso il progetto – quale sperimentazione applicativa di teorie altrimenti inafferrabili – come costruire il processo di avvicinamento al suo mai lineare esercizio? A partire da questi interrogativi, il contributo propone la possibilità di tradurre in segni, forma e materia una riflessione aperta sul senso della nostra disciplina e la sua condivisione. L’idea di architettura come prassi, di progetto come rito, di disciplina come strumento di interrogazione e modificazione della realtà trova così una possibile forma di rappresentazione: un modello, in ferro e cera, forgiato per mutare ed evolvere nel tempo. Sette “mani aperte” sorreggono, con orientamenti deliberatamente diversi e mutevoli, ideali fiamme di libertà: torce che rifiutano l’univocità dei molti vacui simboli universali. La pluralità dei segni e dei gesti sovrasta l’astrazione totalizzante, a rimarcare il valore della contingenza, dell’eterogeneità, della molteplicità. In un rito di ciclica accensione, che richiede la medesima dedizione della pratica della libertà, Tèda prende vita. La cera, liquefatta per un istante, abbandona progressivamente le mani, dilavando verso il basso e costruendo, nel tempo, una superficie imprevedibile, cangiante, eppure eloquentemente comune alle radici di ciascuno stelo. L’esercizio di ricerca progettuale proposto rifugge, dunque, la mera speculazione teorica e affida agli strumenti propri della composizione, alla dimensione plastica della materia, alla gestualità rituale del “praticare quotidianamente l’architettura”, la riflessione sui possibili gradi di libertà di una disciplina in transizione.
Nella pratica, la Teoria
Cocozza, Mattia;Di Mele, Damiano;
2022-01-01
Abstract
Attraverso quali forme praticare il necessario dibattito sui possibili significati della disciplina progettuale nella contemporaneità? Se la ricerca passa ineludibilmente attraverso il progetto – quale sperimentazione applicativa di teorie altrimenti inafferrabili – come costruire il processo di avvicinamento al suo mai lineare esercizio? A partire da questi interrogativi, il contributo propone la possibilità di tradurre in segni, forma e materia una riflessione aperta sul senso della nostra disciplina e la sua condivisione. L’idea di architettura come prassi, di progetto come rito, di disciplina come strumento di interrogazione e modificazione della realtà trova così una possibile forma di rappresentazione: un modello, in ferro e cera, forgiato per mutare ed evolvere nel tempo. Sette “mani aperte” sorreggono, con orientamenti deliberatamente diversi e mutevoli, ideali fiamme di libertà: torce che rifiutano l’univocità dei molti vacui simboli universali. La pluralità dei segni e dei gesti sovrasta l’astrazione totalizzante, a rimarcare il valore della contingenza, dell’eterogeneità, della molteplicità. In un rito di ciclica accensione, che richiede la medesima dedizione della pratica della libertà, Tèda prende vita. La cera, liquefatta per un istante, abbandona progressivamente le mani, dilavando verso il basso e costruendo, nel tempo, una superficie imprevedibile, cangiante, eppure eloquentemente comune alle radici di ciascuno stelo. L’esercizio di ricerca progettuale proposto rifugge, dunque, la mera speculazione teorica e affida agli strumenti propri della composizione, alla dimensione plastica della materia, alla gestualità rituale del “praticare quotidianamente l’architettura”, la riflessione sui possibili gradi di libertà di una disciplina in transizione.File | Dimensione | Formato | |
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