Oggetto di analisi sono gli interventi di restauro effettuati nel corso del XIX secolo a due fra le maggiori basiliche ferraresi: S. Maria in Vado e S. Francesco. Cedimenti nei due edifici iniziarono a manifestarsi proprio mentre la storiografia locale, sondando archivi inesplorati, aveva intrapreso una rivalutazione critica della figura del loro progettista, Biagio Rossetti, che le aveva innalzate a cavallo fra Quattro e Cinquecento: abbassamenti della navata sinistra si manifestarono nel 1827 a S. Maria in Vado, rendendo urgenti puntellature in attesa dei lavori, che furono avviati tre anni più tardi sotto la direzione dell’ing. Giovanni Tosi. L’intervento constò nello smontaggio delle colonne sostituite provvisoriamente da impalcati lignei, il rafforzamento delle fondazioni, la ricostruzione degli archi, il ricollocamento delle colonne, la sostituzione delle volte originali in muratura della navata sinistra con strutture incannucciate, mantenendo il più possibile le forme originali. Al 1849-60 risale invece un drastico intervento di rifacimento di S. Francesco, diretto da Antonio Tosi Foschini, figlio del precedente. Esso andò a modificare radicalmente la copertura della navata centrale, costituita ora da una sequenza di cupole ribassate su peducci, anch’esse realizzate in canniccio: si tratta di un profilo che nulla ha a che vedere con la struttura della chiesa, originariamente voltata a botte, né con l’architettura rinascimentale ferrarese; le cupole, andando a cadenzare la nave centrale secondo un ritmo che non le apparteneva, ne modificano irrimediabilmente la percezione volumetrica. I due interventi così diversi, puntualmente ricostruiti grazie all’ampia documentazione conservata all’Archivio storico comunale di Ferrara, costituiscono i poli per approfondire le posizioni assunte in quegli anni in città rispetto al restauro, dai progettisti, dalle istituzioni, dagli storici. Ne emerge un quadro caratterizzato da un oscillare tra posizioni conservative, caldeggiate soprattutto dal governo pontificio, e modifiche radicali, finalizzate a costruire di Ferrara rinascimentale un’immagine mai esistita: esempio lampante è il decorticamento delle superfici della facciata di Santa Maria in Vado, contemporaneo a interventi simili perpetrati un po’ ovunque per forgiare una “città del cotto” maio esistita. Proprio negli stessi anni, Luigi Napoleone Cittadella, singolare figura di archivista laureato in ingegneria civile, autore di studi ancora fondamentali per Ferrara, aveva intrapreso uno studio filologico sugli edifici, precocemente basato sull’intreccio tra fonti materiali e documentarie, e sul loro autore, Biagio Rossetti, di cui è il primo a riconoscere l’importanza.

Restauri preunitari a Ferrara: due chiese di Biagio Rossetti

Maria Teresa Sambin De Norcen
2022-01-01

Abstract

Oggetto di analisi sono gli interventi di restauro effettuati nel corso del XIX secolo a due fra le maggiori basiliche ferraresi: S. Maria in Vado e S. Francesco. Cedimenti nei due edifici iniziarono a manifestarsi proprio mentre la storiografia locale, sondando archivi inesplorati, aveva intrapreso una rivalutazione critica della figura del loro progettista, Biagio Rossetti, che le aveva innalzate a cavallo fra Quattro e Cinquecento: abbassamenti della navata sinistra si manifestarono nel 1827 a S. Maria in Vado, rendendo urgenti puntellature in attesa dei lavori, che furono avviati tre anni più tardi sotto la direzione dell’ing. Giovanni Tosi. L’intervento constò nello smontaggio delle colonne sostituite provvisoriamente da impalcati lignei, il rafforzamento delle fondazioni, la ricostruzione degli archi, il ricollocamento delle colonne, la sostituzione delle volte originali in muratura della navata sinistra con strutture incannucciate, mantenendo il più possibile le forme originali. Al 1849-60 risale invece un drastico intervento di rifacimento di S. Francesco, diretto da Antonio Tosi Foschini, figlio del precedente. Esso andò a modificare radicalmente la copertura della navata centrale, costituita ora da una sequenza di cupole ribassate su peducci, anch’esse realizzate in canniccio: si tratta di un profilo che nulla ha a che vedere con la struttura della chiesa, originariamente voltata a botte, né con l’architettura rinascimentale ferrarese; le cupole, andando a cadenzare la nave centrale secondo un ritmo che non le apparteneva, ne modificano irrimediabilmente la percezione volumetrica. I due interventi così diversi, puntualmente ricostruiti grazie all’ampia documentazione conservata all’Archivio storico comunale di Ferrara, costituiscono i poli per approfondire le posizioni assunte in quegli anni in città rispetto al restauro, dai progettisti, dalle istituzioni, dagli storici. Ne emerge un quadro caratterizzato da un oscillare tra posizioni conservative, caldeggiate soprattutto dal governo pontificio, e modifiche radicali, finalizzate a costruire di Ferrara rinascimentale un’immagine mai esistita: esempio lampante è il decorticamento delle superfici della facciata di Santa Maria in Vado, contemporaneo a interventi simili perpetrati un po’ ovunque per forgiare una “città del cotto” maio esistita. Proprio negli stessi anni, Luigi Napoleone Cittadella, singolare figura di archivista laureato in ingegneria civile, autore di studi ancora fondamentali per Ferrara, aveva intrapreso uno studio filologico sugli edifici, precocemente basato sull’intreccio tra fonti materiali e documentarie, e sul loro autore, Biagio Rossetti, di cui è il primo a riconoscere l’importanza.
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