Nei testi teorici tra ‘500 e ‘700 accanto a norme che definiscono la corretta architettura, si constata la presenza di riferimenti al patrimonio culturale e figurativo considerato “diverso” la cui ricorrenza consente di parlarne come di un tema che appartiene alla trattatistica disciplinare, nonostante sia tra i meno riconducibili a modelli da imitare in modo ripetitivo. Anche se già Sebastiano Serlio aveva inserito il Trattato di alcune cose maravigliose dell’Egitto alla fine del Libro terzo (1540) dei suoi Sette libri dell’architettura, una vera e propria prospettiva comparativa in un testo teorico viene adottata per la prima volta da Vincenzo Scamozzi ne L’idea dell’architettura universale (1615). È dichiarato che il contenuto dell’opera – oltre ai precetti dell’Architettura – consista in “varie descrittioni”, seguite dalle “differenze di Paesi”, concretizzando quindi il programma espresso nell’aggettivo “universale” che caratterizza nel titolo la sua idea di architettura. Numerosissimi Paesi del mondo sono quindi presi in considerazione da Scamozzi per illustrare e paragonare metodi e principi diversi dell’edificare e per indicare, al di là della relatività degli usi, la relazione con le risorse e le condizioni ambientali. Il ruolo svolto nella trattazione di Scamozzi dalle osservazioni compiute durante numerosi viaggi diviene fondamentale – così come lo sarà nell’opera e negli scritti di Guarini. Patrimoni figurativi di provenienza diversa, compreso il Nuovo Mondo, sono compresenti anche nell’opera teorica di Juan Caramuel (1678), dove nell’Ottavo trattato si trova la descrizione di monumenti come le piramidi accanto al Pantheon e a S. Pietro. Una costante dell’inserimento di questi esempi figurativi all’interno del trattato di architettura è la tensione a conferire fondatezza e soprattutto credibilità, tramite un preciso patrimonio di testi e reperti materiali, agli esempi proposti. Questa preoccupazione deriva dalla volontà di stabilire una pari dignità tra questi “nuovi” esempi e quelli tradizionalmente derivati dall’antichità romana, mettendo così in atto un’accezione di antichità ben più ampia di quella considerata a fondamento della cultura umanistica. In questo modo l’Egitto, la Cina e l’Oriente in genere, il Nuovo Mondo e le Meraviglie entrano a far parte della trattazione di architettura non come argomenti autonomi, ma come “innesti” nella rigida struttura trattatistica rinascimentale. Per sostanziare la compatibilità tra questi mondi alcuni temi vengono investiti del ruolo di stabilire terreni di relazione tra culture diverse, tanto da divenire topoi all’interno dei testi: le piramidi ad esempio vengono rintracciate non solo nella cultura figurativa egizia ma anche in quella del Nuovo Mondo e della Cina – oltre che tra le antichità romane. La tensione a determinare un preciso e autorevole quadro delle fonti caratterizza anche l’introduzione che Johann Bernhard Fischer von Erlach elabora per Entwurf einer historischen Architektur (1721) dove l’intenzione, dichiarata nella Prefazione, è quella di compiere una rilettura di materiali e testi esistenti riguardanti “ogni sorta di architetture”. Il programma, solo in parte disatteso, comprende nel “Primo libro. Di alcuni edifici dell’antica architettura Giudaica, Egizia, Siriana (cioè assira), Persiana e Greca”, nel secondo un “Altro libro di alcuni edifici dell’architettura Romana antica e nuova, e anche Gotica e Moresca”, e nel “Terzo libro di alcuni edifici dell’architettura Gotica, Moresca, Araba, Turca, neo Persiana, Indostana, Siamese, Cinese e Giapponese”. Si ha quindi una rivalutazione dell’architettura di diverse nazioni secondo il principio che il gusto nell’architettura differisce tra le culture quanto quello del modo di vestire. L’unico criterio di approccio suggerito da Fischer von Erlach è una scelta giudiziosa dopo un accurato confronto, criterio posto a fondamento delle nuove invenzioni che inserisce nel suo testo. D’altra parte poco dopo Piranesi esordirà nel Ragionamento apologetico del 1769 fugando ogni possibile dubbio sul fatto che il riferimento alle forme di altri popoli è strumentale a nuove invenzioni e nulla ha a che fare con una restituzione fedele. Nella teoria piranesiana il ruolo assegnato alla creatività e al rapporto tra questa e la regola, alla materia, all’ornamento, ha uno sviluppo problematico sino alle opere teoriche del 1765 in cui l’affidarsi a elementi decorativi “tutti stranieri” corrisponde al compito di salvare l’architettura da qualsiasi elaborazione normativa e in quanto tale ripetitiva. Ma l’interesse per ciò che è “diverso” – qui brevemente delineato – non deve essere considerato esclusivamente come ricerca di fonti e spunti per trasgressioni e sregolatezze: si intende sostenere che esso appartiene alla ricerca disciplinare come ricerca di ciò che di comune e universale vi è nella mutevolezza delle espressioni. A tale scopo si prende ad esempio Fischer von Erlach che dichiaratamente non effettua una ricerca di stravaganze, ma persegue l’individuazione di principi comuni dell’architettura: nell’individuazione di un'ossatura degli edifici rispetto ai quali, possiamo desumere, l’ornamento è una sovrastruttura che dipende da gusto e usi, dove il gusto è ciò che varia da nazione a nazione e non è quindi oggetto di discussione, e dove l’uso è ciò che può autorizzare alcune bizzarrie nell’arte di costruire, afferma, nonostante tutto, che esistono principi generali nell’architettura. Oggetto di discussione e di interesse del suo saggio è allora il fatto che “Malgrado tutto ciò ci sono alcuni principi generali e comuni nell’architettura contro i quali non si saprebbe andare senza ferire la vista. Tali sono le regole della simmetria, che sopprime tutto ciò che porta al falso, e alcune altre della stessa natura” La ricerca di principi strutturanti l’architettura, di principi indipendenti dal tempo e dal luogo, è quindi ricerca di ciò che non varia tra le cose che mutano e ricerca degli ambiti in cui invece la mutevolezza può svilupparsi, la varietà contribuire a trovare l’identità.

La dimensione dell’esotico nel trattato di architettura

Manzelle Maura
2002-01-01

Abstract

Nei testi teorici tra ‘500 e ‘700 accanto a norme che definiscono la corretta architettura, si constata la presenza di riferimenti al patrimonio culturale e figurativo considerato “diverso” la cui ricorrenza consente di parlarne come di un tema che appartiene alla trattatistica disciplinare, nonostante sia tra i meno riconducibili a modelli da imitare in modo ripetitivo. Anche se già Sebastiano Serlio aveva inserito il Trattato di alcune cose maravigliose dell’Egitto alla fine del Libro terzo (1540) dei suoi Sette libri dell’architettura, una vera e propria prospettiva comparativa in un testo teorico viene adottata per la prima volta da Vincenzo Scamozzi ne L’idea dell’architettura universale (1615). È dichiarato che il contenuto dell’opera – oltre ai precetti dell’Architettura – consista in “varie descrittioni”, seguite dalle “differenze di Paesi”, concretizzando quindi il programma espresso nell’aggettivo “universale” che caratterizza nel titolo la sua idea di architettura. Numerosissimi Paesi del mondo sono quindi presi in considerazione da Scamozzi per illustrare e paragonare metodi e principi diversi dell’edificare e per indicare, al di là della relatività degli usi, la relazione con le risorse e le condizioni ambientali. Il ruolo svolto nella trattazione di Scamozzi dalle osservazioni compiute durante numerosi viaggi diviene fondamentale – così come lo sarà nell’opera e negli scritti di Guarini. Patrimoni figurativi di provenienza diversa, compreso il Nuovo Mondo, sono compresenti anche nell’opera teorica di Juan Caramuel (1678), dove nell’Ottavo trattato si trova la descrizione di monumenti come le piramidi accanto al Pantheon e a S. Pietro. Una costante dell’inserimento di questi esempi figurativi all’interno del trattato di architettura è la tensione a conferire fondatezza e soprattutto credibilità, tramite un preciso patrimonio di testi e reperti materiali, agli esempi proposti. Questa preoccupazione deriva dalla volontà di stabilire una pari dignità tra questi “nuovi” esempi e quelli tradizionalmente derivati dall’antichità romana, mettendo così in atto un’accezione di antichità ben più ampia di quella considerata a fondamento della cultura umanistica. In questo modo l’Egitto, la Cina e l’Oriente in genere, il Nuovo Mondo e le Meraviglie entrano a far parte della trattazione di architettura non come argomenti autonomi, ma come “innesti” nella rigida struttura trattatistica rinascimentale. Per sostanziare la compatibilità tra questi mondi alcuni temi vengono investiti del ruolo di stabilire terreni di relazione tra culture diverse, tanto da divenire topoi all’interno dei testi: le piramidi ad esempio vengono rintracciate non solo nella cultura figurativa egizia ma anche in quella del Nuovo Mondo e della Cina – oltre che tra le antichità romane. La tensione a determinare un preciso e autorevole quadro delle fonti caratterizza anche l’introduzione che Johann Bernhard Fischer von Erlach elabora per Entwurf einer historischen Architektur (1721) dove l’intenzione, dichiarata nella Prefazione, è quella di compiere una rilettura di materiali e testi esistenti riguardanti “ogni sorta di architetture”. Il programma, solo in parte disatteso, comprende nel “Primo libro. Di alcuni edifici dell’antica architettura Giudaica, Egizia, Siriana (cioè assira), Persiana e Greca”, nel secondo un “Altro libro di alcuni edifici dell’architettura Romana antica e nuova, e anche Gotica e Moresca”, e nel “Terzo libro di alcuni edifici dell’architettura Gotica, Moresca, Araba, Turca, neo Persiana, Indostana, Siamese, Cinese e Giapponese”. Si ha quindi una rivalutazione dell’architettura di diverse nazioni secondo il principio che il gusto nell’architettura differisce tra le culture quanto quello del modo di vestire. L’unico criterio di approccio suggerito da Fischer von Erlach è una scelta giudiziosa dopo un accurato confronto, criterio posto a fondamento delle nuove invenzioni che inserisce nel suo testo. D’altra parte poco dopo Piranesi esordirà nel Ragionamento apologetico del 1769 fugando ogni possibile dubbio sul fatto che il riferimento alle forme di altri popoli è strumentale a nuove invenzioni e nulla ha a che fare con una restituzione fedele. Nella teoria piranesiana il ruolo assegnato alla creatività e al rapporto tra questa e la regola, alla materia, all’ornamento, ha uno sviluppo problematico sino alle opere teoriche del 1765 in cui l’affidarsi a elementi decorativi “tutti stranieri” corrisponde al compito di salvare l’architettura da qualsiasi elaborazione normativa e in quanto tale ripetitiva. Ma l’interesse per ciò che è “diverso” – qui brevemente delineato – non deve essere considerato esclusivamente come ricerca di fonti e spunti per trasgressioni e sregolatezze: si intende sostenere che esso appartiene alla ricerca disciplinare come ricerca di ciò che di comune e universale vi è nella mutevolezza delle espressioni. A tale scopo si prende ad esempio Fischer von Erlach che dichiaratamente non effettua una ricerca di stravaganze, ma persegue l’individuazione di principi comuni dell’architettura: nell’individuazione di un'ossatura degli edifici rispetto ai quali, possiamo desumere, l’ornamento è una sovrastruttura che dipende da gusto e usi, dove il gusto è ciò che varia da nazione a nazione e non è quindi oggetto di discussione, e dove l’uso è ciò che può autorizzare alcune bizzarrie nell’arte di costruire, afferma, nonostante tutto, che esistono principi generali nell’architettura. Oggetto di discussione e di interesse del suo saggio è allora il fatto che “Malgrado tutto ciò ci sono alcuni principi generali e comuni nell’architettura contro i quali non si saprebbe andare senza ferire la vista. Tali sono le regole della simmetria, che sopprime tutto ciò che porta al falso, e alcune altre della stessa natura” La ricerca di principi strutturanti l’architettura, di principi indipendenti dal tempo e dal luogo, è quindi ricerca di ciò che non varia tra le cose che mutano e ricerca degli ambiti in cui invece la mutevolezza può svilupparsi, la varietà contribuire a trovare l’identità.
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