Il contributo propone la lettura di un’opera particolarmente significativa, al fine di indagare il processo di invenzione dei “segni” propri del luogo da cui trae origine il progetto, e la loro metamorfosi in figure fondamentali dell’architettura, inserite nel paesaggio. Si tratta del cimitero partigiano di Vojsko, progettato nel 1951 da Edvard Ravnikar con i suoi collaboratori e dove, in uno spiazzo erboso tra i boschi dell'altopiano carsico di Idrija, sono sepolti 305 combattenti che presero parte alla resistenza. L’opera rappresenta un tassello dell’ampia ricerca sulla rappresentazione simbolica della memoria che ha accompagnato gran parte del percorso professionale e teorico di Edvard Ravnikar, e che ha depositato, come esito architettonico, una costellazione di piccoli interventi diffusi sul territorio sloveno. Qui si stratificano tracce generate dalla necessità, elementi della tradizione e segni archetipici, sedimentati nel vocabolario dell’architetto e interpretati attraverso il filtro del moderno.---The contribution proposes the reading of a particularly significant work, in order to investigate the process of invention of the ‘signs’ proper to the place from which the project originates, and their metamorphosis into basic figures of architecture, embedded in the landscape. This is the partisan cemetery in Vojsko, designed in 1951 by Edvard Ravnikar with his collaborators and where, in a grassy break among the forests of the karst plateau of Idrija, 305 fighters who took part in the resistance are buried. The work represents a piece of the extensive research on the symbolic representation of memory that has accompanied much of Edvard Ravnikar’s professional and theoretical career, and which has deposited, as an architectural outcome, a constellation of small interventions spread throughout the Slovenian territory. Layered here are traces generated by necessity, elements of tradition and archetypal signs, sedimented in the architect’s vocabulary and interpreted through the filter of the modern.

La magia figurativa del segno. Il cimitero partigiano di Vojsko

Campeotto, Susanna
2023-01-01

Abstract

Il contributo propone la lettura di un’opera particolarmente significativa, al fine di indagare il processo di invenzione dei “segni” propri del luogo da cui trae origine il progetto, e la loro metamorfosi in figure fondamentali dell’architettura, inserite nel paesaggio. Si tratta del cimitero partigiano di Vojsko, progettato nel 1951 da Edvard Ravnikar con i suoi collaboratori e dove, in uno spiazzo erboso tra i boschi dell'altopiano carsico di Idrija, sono sepolti 305 combattenti che presero parte alla resistenza. L’opera rappresenta un tassello dell’ampia ricerca sulla rappresentazione simbolica della memoria che ha accompagnato gran parte del percorso professionale e teorico di Edvard Ravnikar, e che ha depositato, come esito architettonico, una costellazione di piccoli interventi diffusi sul territorio sloveno. Qui si stratificano tracce generate dalla necessità, elementi della tradizione e segni archetipici, sedimentati nel vocabolario dell’architetto e interpretati attraverso il filtro del moderno.---The contribution proposes the reading of a particularly significant work, in order to investigate the process of invention of the ‘signs’ proper to the place from which the project originates, and their metamorphosis into basic figures of architecture, embedded in the landscape. This is the partisan cemetery in Vojsko, designed in 1951 by Edvard Ravnikar with his collaborators and where, in a grassy break among the forests of the karst plateau of Idrija, 305 fighters who took part in the resistance are buried. The work represents a piece of the extensive research on the symbolic representation of memory that has accompanied much of Edvard Ravnikar’s professional and theoretical career, and which has deposited, as an architectural outcome, a constellation of small interventions spread throughout the Slovenian territory. Layered here are traces generated by necessity, elements of tradition and archetypal signs, sedimented in the architect’s vocabulary and interpreted through the filter of the modern.
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