Biennale 1948. Alla prima edizione del dopoguerra, l’assetto del sistema dei padiglioni ai Giardini riflette sclerosi e assestamenti dei nuovi equilibri tra vincitori, vinti e nuovi avversari. Questo scenario fluido e instabile trovava una chiara rappresentazione nella Mostra degli Impressionisti, organizzata dal Segretario della Biennale Rodolfo Pallucchini all'interno del Padiglione Germania. Questa decisione assume una risonanza ancora più profonda se analizzata attraverso la lente della "topografia politica" dei padiglioni dei Giardini. Nel 1948 la Germania, divisa in zone di occupazione alleate, non aveva una rappresentanza ufficiale; la Biennale ospita invece una mostra sui "Tedeschi" (il popolo, non la nazione!) dedicata ad artisti epurati dal nazismo. Questa esposizione viene però allestita nel Padiglione Italia e non in quello tedesco. La scelta di occupare il Padiglione Germania con una mostra "francese" anziché ospitare i "Tedeschi", ha il sapore di un contrappasso e assume un chiaro peso politico e simbolico. Le circostanze, le tensioni e le motivazioni dietro questa decisione, insieme alla successiva "restituzione" del padiglione alla Repubblica Federale di Germania nel 1950, nel nuovo contesto della Guerra Fredda, offrono un quadro critico per comprendere il ruolo della Biennale nel dopoguerra come piattaforma di esercizio del soft power. L’intera vicenda legata all’organizzazione della Mostra degli Impressionisti— dalle dinamiche dei prestiti alle esitazioni dei collezionisti americani, dalle controverse relazioni con l’Unione Sovietica fino all’oscura ombra delle opere sottratte agli ebrei dai nazisti — offre un canovaccio avvincente per svelare narrazioni nascoste della storia. // During the 1948 Venice Biennale, the first edition after the end of World War II, the selections for the national pavilions at the Giardini reflected the sclerosis of pre-war structures and the reconfiguration of relationships among post-war victors, defeated nations, and emerging adversaries. This shifting and unstable scenario was epitomised by the Mostra degli Impressionisti, organised by Biennale Secretary Rodolfo Pallucchini and staged in the German Pavilion. This decision takes on deeper resonance when viewed through the lens of the “political topography” of the Giardini’s pavilions. In 1948, defeated Germany, then divided into Allied occupation zones, lacked official representation at the Biennale. Instead, a politically charged exhibition of “the Germans” – featuring artists cleansed of Nazi associations – was displayed in the Italian Pavilion. The choice to occupy the German Pavilion with a “French” exhibition rather than hosting this compensatory display was laden with political and symbolic significance. The tensions, motivations, and consequences of this decision, along with the pavilion’s eventual “restitution” to the Federal Republic of Germany in 1950 against the backdrop of the Cold War, illuminate the Biennale’s evolving post-war role as a platform for soft power. The broader narrative surrounding the organization of these exhibitions – including the dynamics of loans, hesitations from American collectors, contentious negotiations with the Soviet Union, and the lingering shadow of Nazi-looted art – provides a compelling framework for uncovering hidden historical narratives.

Venice Biennale 1948. The "Mostra degli Impressionisti" at the German Pavillon and its politics

Castellani, Francesca
2024-01-01

Abstract

Biennale 1948. Alla prima edizione del dopoguerra, l’assetto del sistema dei padiglioni ai Giardini riflette sclerosi e assestamenti dei nuovi equilibri tra vincitori, vinti e nuovi avversari. Questo scenario fluido e instabile trovava una chiara rappresentazione nella Mostra degli Impressionisti, organizzata dal Segretario della Biennale Rodolfo Pallucchini all'interno del Padiglione Germania. Questa decisione assume una risonanza ancora più profonda se analizzata attraverso la lente della "topografia politica" dei padiglioni dei Giardini. Nel 1948 la Germania, divisa in zone di occupazione alleate, non aveva una rappresentanza ufficiale; la Biennale ospita invece una mostra sui "Tedeschi" (il popolo, non la nazione!) dedicata ad artisti epurati dal nazismo. Questa esposizione viene però allestita nel Padiglione Italia e non in quello tedesco. La scelta di occupare il Padiglione Germania con una mostra "francese" anziché ospitare i "Tedeschi", ha il sapore di un contrappasso e assume un chiaro peso politico e simbolico. Le circostanze, le tensioni e le motivazioni dietro questa decisione, insieme alla successiva "restituzione" del padiglione alla Repubblica Federale di Germania nel 1950, nel nuovo contesto della Guerra Fredda, offrono un quadro critico per comprendere il ruolo della Biennale nel dopoguerra come piattaforma di esercizio del soft power. L’intera vicenda legata all’organizzazione della Mostra degli Impressionisti— dalle dinamiche dei prestiti alle esitazioni dei collezionisti americani, dalle controverse relazioni con l’Unione Sovietica fino all’oscura ombra delle opere sottratte agli ebrei dai nazisti — offre un canovaccio avvincente per svelare narrazioni nascoste della storia. // During the 1948 Venice Biennale, the first edition after the end of World War II, the selections for the national pavilions at the Giardini reflected the sclerosis of pre-war structures and the reconfiguration of relationships among post-war victors, defeated nations, and emerging adversaries. This shifting and unstable scenario was epitomised by the Mostra degli Impressionisti, organised by Biennale Secretary Rodolfo Pallucchini and staged in the German Pavilion. This decision takes on deeper resonance when viewed through the lens of the “political topography” of the Giardini’s pavilions. In 1948, defeated Germany, then divided into Allied occupation zones, lacked official representation at the Biennale. Instead, a politically charged exhibition of “the Germans” – featuring artists cleansed of Nazi associations – was displayed in the Italian Pavilion. The choice to occupy the German Pavilion with a “French” exhibition rather than hosting this compensatory display was laden with political and symbolic significance. The tensions, motivations, and consequences of this decision, along with the pavilion’s eventual “restitution” to the Federal Republic of Germany in 1950 against the backdrop of the Cold War, illuminate the Biennale’s evolving post-war role as a platform for soft power. The broader narrative surrounding the organization of these exhibitions – including the dynamics of loans, hesitations from American collectors, contentious negotiations with the Soviet Union, and the lingering shadow of Nazi-looted art – provides a compelling framework for uncovering hidden historical narratives.
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