Negli ultimi decenni l’impennata del numero delle concessioni balneari e il monopolio privatistico generatosi intorno ad esse, insieme alla mancanza di indicazioni nazionali relative a percentuali minime di spiaggia da dedicare alla libera fruizione, ha portato i litorali italiani a situazioni paradossali in termini di occupazione della costa. Secondo i dati resi disponibili dal sistema Informativo del Demanio Marittimo, le concessioni ad uso turistico-ricreativo riguardano infatti il 43% circa della superficie delle coste sabbiose italiane, raggiungendo in alcune regioni percentuali pari al 70%, limitandone la libertà di accesso e la funzione sociale. La costa, intesa come spessore relazionale a profondità variabile, si caratterizza per essere uno spazio perennemente conteso: negli usi, nei piani, nelle competenze e negli strumenti volti alla sua regolazione. Le diverse dinamiche relative alla sua gestione hanno generato profonde disuguaglianze, convertendo uno spazio pubblico in un mero bene di consumo. La crescente consapevolezza della collettività dovuta anche al dibattito nazionale innescato dalla mancata attuazione delle direttive europee sulla concorrenza, hanno portato alla denuncia, attraverso iniziative e mobilitazioni da parte dei comitati cittadini, di un modello di gestione che è divenuto sempre più escludente. A partire da un’analisi del Piano di Utilizzazione delle Aree Demaniali Marittime della regione Campania e, più precisamente, del processo di elaborazione delle osservazioni da parte delle associazioni di cittadini e ambientaliste, il contributo ricostruisce come le mobilitazioni possano agire da innesco per la riconquista del diritto al mare e la possibile identificazione della costa come bene comune.

La presa della battigia. Le osservazioni al PUAD come innesto per la creazione di reti territoriali

Pica, Klarissa
2024-01-01

Abstract

Negli ultimi decenni l’impennata del numero delle concessioni balneari e il monopolio privatistico generatosi intorno ad esse, insieme alla mancanza di indicazioni nazionali relative a percentuali minime di spiaggia da dedicare alla libera fruizione, ha portato i litorali italiani a situazioni paradossali in termini di occupazione della costa. Secondo i dati resi disponibili dal sistema Informativo del Demanio Marittimo, le concessioni ad uso turistico-ricreativo riguardano infatti il 43% circa della superficie delle coste sabbiose italiane, raggiungendo in alcune regioni percentuali pari al 70%, limitandone la libertà di accesso e la funzione sociale. La costa, intesa come spessore relazionale a profondità variabile, si caratterizza per essere uno spazio perennemente conteso: negli usi, nei piani, nelle competenze e negli strumenti volti alla sua regolazione. Le diverse dinamiche relative alla sua gestione hanno generato profonde disuguaglianze, convertendo uno spazio pubblico in un mero bene di consumo. La crescente consapevolezza della collettività dovuta anche al dibattito nazionale innescato dalla mancata attuazione delle direttive europee sulla concorrenza, hanno portato alla denuncia, attraverso iniziative e mobilitazioni da parte dei comitati cittadini, di un modello di gestione che è divenuto sempre più escludente. A partire da un’analisi del Piano di Utilizzazione delle Aree Demaniali Marittime della regione Campania e, più precisamente, del processo di elaborazione delle osservazioni da parte delle associazioni di cittadini e ambientaliste, il contributo ricostruisce come le mobilitazioni possano agire da innesco per la riconquista del diritto al mare e la possibile identificazione della costa come bene comune.
2024
9788899237639
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