Recentemente si sono intensificate le politiche pubbliche rivolte alla rigenerazione urbana, promosse con l’intento di riattivare dinamiche sociali ed economiche nei contesti locali oggetti di intervento. In queste progettualità, così come nella letteratura accademica di riferimento, si evidenzia spesso che il ruolo svolto dalle piccole imprese, ed in particolare dalle botteghe artigianali e dai negozi di vicinato, riveste funzioni esplicitamente sociali, contribuendo consapevolmente ai processi di presidio e di rigenerazione territoriale. In particolare, l’impresa artigiana si presenta dal punto di vista storico come uno degli attori che ha maggiormente influenzato lo sviluppo urbano, sociale ed economico delle città, ben oltre la mera questione produttiva (Sennet, 2008). Costa (2011) ha evidenziato come l’impresa contribuisca allo sviluppo locale mediante interazioni sociali basate su collaborazioni negoziate e aperte tra artigiani, comunità e network. Morandi (2008) ha ben argomentato come l’artigianato giochi da sempre un importante ruolo quale presidio sociale, potendo dare o togliere qualità alla città e al territorio, attribuendo peculiarità, sicurezza e specificità ai luoghi o banalizzandoli in un paesaggio omologato. L’approccio dell’economia sociale basato sulla comunità, che sottolinea l’importanza di coinvolgere le comunità locali nel processo decisionale e nello sviluppo di reti di capitale sociale (ad esempio, Thomas, Duncan, 2000), riconosce appunto il ruolo assunto dalle piccole e medie imprese, prevalentemente di natura artigianale, fortemente radicate nei territori. Il presente saggio mira ad evidenziare se e a quali condizioni tali imprese possano essere considerate alla stregua delle imprese sociali, entrando a far parte delle sue molteplici attività, pur non avendo i requisiti formali per poter accedere a tale categoria. L’analisi si svolge mediante la presentazione di alcune progettualità esemplificative in cui l’artigianato gioca un ruolo determinante nei processi di inclusione sociale e riabilitazione di categorie deboli, come ad esempio giovani con difficoltà scolastiche ma abilità manuali, disoccupati, svantaggiati, persone affette da disturbi psichici, carcerati, rifugiati e migranti. Utilizzando i mestieri artigianali per raggiungere i loro scopi d’inclusione sociale professionale, tali iniziative attuano una forma di salvaguardia del patrimonio culturale dell’artigianato artistico e tradizionale ma al contempo esercitano in modo esplicito una forte azione a carattere sociale. L’impresa artigiana così considerata non solo risulta essere poco orientata al profitto, ma va oltre il compimento di mere azioni riferibili all’ambito della social responsibility, configurandosi in modo contiguo rispetto alle imprese sociali.

Quando l'impresa artigiana si comporta da impresa sociale

Roberto Paladini
2020-01-01

Abstract

Recentemente si sono intensificate le politiche pubbliche rivolte alla rigenerazione urbana, promosse con l’intento di riattivare dinamiche sociali ed economiche nei contesti locali oggetti di intervento. In queste progettualità, così come nella letteratura accademica di riferimento, si evidenzia spesso che il ruolo svolto dalle piccole imprese, ed in particolare dalle botteghe artigianali e dai negozi di vicinato, riveste funzioni esplicitamente sociali, contribuendo consapevolmente ai processi di presidio e di rigenerazione territoriale. In particolare, l’impresa artigiana si presenta dal punto di vista storico come uno degli attori che ha maggiormente influenzato lo sviluppo urbano, sociale ed economico delle città, ben oltre la mera questione produttiva (Sennet, 2008). Costa (2011) ha evidenziato come l’impresa contribuisca allo sviluppo locale mediante interazioni sociali basate su collaborazioni negoziate e aperte tra artigiani, comunità e network. Morandi (2008) ha ben argomentato come l’artigianato giochi da sempre un importante ruolo quale presidio sociale, potendo dare o togliere qualità alla città e al territorio, attribuendo peculiarità, sicurezza e specificità ai luoghi o banalizzandoli in un paesaggio omologato. L’approccio dell’economia sociale basato sulla comunità, che sottolinea l’importanza di coinvolgere le comunità locali nel processo decisionale e nello sviluppo di reti di capitale sociale (ad esempio, Thomas, Duncan, 2000), riconosce appunto il ruolo assunto dalle piccole e medie imprese, prevalentemente di natura artigianale, fortemente radicate nei territori. Il presente saggio mira ad evidenziare se e a quali condizioni tali imprese possano essere considerate alla stregua delle imprese sociali, entrando a far parte delle sue molteplici attività, pur non avendo i requisiti formali per poter accedere a tale categoria. L’analisi si svolge mediante la presentazione di alcune progettualità esemplificative in cui l’artigianato gioca un ruolo determinante nei processi di inclusione sociale e riabilitazione di categorie deboli, come ad esempio giovani con difficoltà scolastiche ma abilità manuali, disoccupati, svantaggiati, persone affette da disturbi psichici, carcerati, rifugiati e migranti. Utilizzando i mestieri artigianali per raggiungere i loro scopi d’inclusione sociale professionale, tali iniziative attuano una forma di salvaguardia del patrimonio culturale dell’artigianato artistico e tradizionale ma al contempo esercitano in modo esplicito una forte azione a carattere sociale. L’impresa artigiana così considerata non solo risulta essere poco orientata al profitto, ma va oltre il compimento di mere azioni riferibili all’ambito della social responsibility, configurandosi in modo contiguo rispetto alle imprese sociali.
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