Il presente contributo sviluppa alcune riflessioni a partire dalla lettura dei processi di costituzione e consolidamento dei quartieri popolari delle metropoli latinoamericane, in particolare riferendosi al caso di Santiago del Cile. La tesi che si sostiene è che tali processi, lungi dall’essere spontanei o informali, come spesso si tende a sostenere, sia in realtà frutto di un progetto, o meglio di molti progetti. Vi è alla base, infatti, una progettualità diffusa che non ha coinvolto solo gli abitanti, ma anche associazioni e istituzioni di varia natura, oltre a vari organi dello Stato, i quali sono intervenuti attraverso varie figure professionali ed esperti, tra cui architetti, urbanisti e planners. Gli intrecci fra questi diversi saperi non sempre sono stati pacifici e solo talvolta, in tempi recenti, sono stati ispirati a teorie partecipazioniste o di co-design. Piuttosto, sono nati da situazioni urgenti e spesso conflittuali, in cui le lotte degli abitanti e le varie azioni messe in campo si sono confrontate a interessi economici e politici, nonché a sfondi valoriali afferenti a diverse tradizioni e culture. Riferendosi al caso di Santiago del Cile, il campo in cui tali dinamiche emergono con più evidenza, sono quelle intorno alle lotte e le politiche per la casa. Il noto lavoro di Elemental, infatti, è solo uno dei più recenti esempi di una storia molto meno conosciuta, in cui, a partire dagli anni quaranta, si sono sperimentate molte soluzioni a loro modo innovative, spesso nate per risolvere problemi contingenti. Sulla scia di un forte movimento per la casa, che ha utilizzato le occupazioni di terreno come principale mezzo di lotta, una schiera anonima di funzionari pubblici, professionisti ed esperti internazionali, hanno provato soluzioni che più tardi sarebbero state prima riconosciute da famosi teorici, quali John Turner o Manuel de Solà Morales, e poi sarebbero state codificate a livello internazionale con formule quali site and service, core housing, slum upgrading, aided self-help housing; formule, però, che nascondono sotto un neutro tecnicismo processi molti più densi e conflittuali. Attraverso la discussione di alcuni casi esemplari, il contributo vuol far emergere la complessità di tali processi, da un lato per rimarcare la forte specificità di ognuno di questi, dall’altro lato, per offrire alcune riflessioni con un carattere più trasversale.

Urbanistica periferica. Riflessioni a partire dal caso di Santiago del Cile

Emanuel Giannotti
2024-01-01

Abstract

Il presente contributo sviluppa alcune riflessioni a partire dalla lettura dei processi di costituzione e consolidamento dei quartieri popolari delle metropoli latinoamericane, in particolare riferendosi al caso di Santiago del Cile. La tesi che si sostiene è che tali processi, lungi dall’essere spontanei o informali, come spesso si tende a sostenere, sia in realtà frutto di un progetto, o meglio di molti progetti. Vi è alla base, infatti, una progettualità diffusa che non ha coinvolto solo gli abitanti, ma anche associazioni e istituzioni di varia natura, oltre a vari organi dello Stato, i quali sono intervenuti attraverso varie figure professionali ed esperti, tra cui architetti, urbanisti e planners. Gli intrecci fra questi diversi saperi non sempre sono stati pacifici e solo talvolta, in tempi recenti, sono stati ispirati a teorie partecipazioniste o di co-design. Piuttosto, sono nati da situazioni urgenti e spesso conflittuali, in cui le lotte degli abitanti e le varie azioni messe in campo si sono confrontate a interessi economici e politici, nonché a sfondi valoriali afferenti a diverse tradizioni e culture. Riferendosi al caso di Santiago del Cile, il campo in cui tali dinamiche emergono con più evidenza, sono quelle intorno alle lotte e le politiche per la casa. Il noto lavoro di Elemental, infatti, è solo uno dei più recenti esempi di una storia molto meno conosciuta, in cui, a partire dagli anni quaranta, si sono sperimentate molte soluzioni a loro modo innovative, spesso nate per risolvere problemi contingenti. Sulla scia di un forte movimento per la casa, che ha utilizzato le occupazioni di terreno come principale mezzo di lotta, una schiera anonima di funzionari pubblici, professionisti ed esperti internazionali, hanno provato soluzioni che più tardi sarebbero state prima riconosciute da famosi teorici, quali John Turner o Manuel de Solà Morales, e poi sarebbero state codificate a livello internazionale con formule quali site and service, core housing, slum upgrading, aided self-help housing; formule, però, che nascondono sotto un neutro tecnicismo processi molti più densi e conflittuali. Attraverso la discussione di alcuni casi esemplari, il contributo vuol far emergere la complessità di tali processi, da un lato per rimarcare la forte specificità di ognuno di questi, dall’altro lato, per offrire alcune riflessioni con un carattere più trasversale.
2024
9788876032639
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