IT- La casa di Oskar e Zofia Hansen nella campagna di Szumin (70 Km a Nord-Est di Varsavia) viene realizzata dapprima come luogo per le vacanze (1967-68), poi come residenza tramite una serie di integrazioni fino agli anni ‘90. Il piccolo edificio riflette lo sperimentalismo che contraddistingue la coppia di architetti polacchi e rappresenta la sintesi delle loro ricerche e convinzioni che, muovendo da una critica operante alla rigidità delle “forme chiuse” rappresentate dagli assiomatici prototipi del Movimento Moderno, contrappone la processualità della “Forma Aperta”. Quest’ultima si condensa nell’idea che il progetto di architettura rappresenti, tramite le sue declinazioni scalari, una condizione di compiutezza transitoria, metodologicamente estesa nel tempo per integrare modifiche ed estensioni introdotte dagli utilizzatori. La casa di Szumin, problematicamente sospesa tra i territori dell’architettura e delle altre arti, è il risultato di una riconsiderazione critica delle ricerche dell’avanguardia polacca e al contempo l’esito delle esperienze che Oskar Hansen svolse negli studi di Pierre Janneret e Fernand Leger e tramite la partecipazione agli ultimi CIAM e la militanza nel Team X. È su queste basi che il lavoro di Oskar e Zofia Hansen si è sviluppato in nuove direzioni legate all’ambiente internazionale dell’architettura e delle arti plastiche, ma secondo una cifra originale e autonoma, nonostante le limitazioni imposte dal contesto socioculturale della Polonia del Socialismo reale. Le ricadute di queste ricerche nel progetto della casa di Szumin e, prima di essa, nello spazio fluido dell’appartamento di via Sędziowska (Varsavia, 1950-55) si possono provvisoriamente ricondurre ai diversi ambiti progettuali affrontati dagli Hansen: i sistemi di quartieri lineari che legano abitazione e paesaggio, e i progetti- manifesto di allestimenti e interni sviluppati secondo il principio del “Negativo attivo”: involucro plastico definito da telai che tracciano i confini dello spazio abitabile attraverso rapporti articolati tra pieni e vuoti. Questa dimensione astrattiva della “Forma Otwarta” evidenzia la difficoltà di tracciare un confine netto tra l’architettura e le altre arti, tra uso, forma e figurazione, tra spazio abitabile e costruzione morfologica. La processualità morfologica della casa di Szumin pone altresì un ulteriore aspetto di ordine metodologico, che sembra contraddire le prerogative su cui si era basato il lavoro degli Hansen: il tentativo di stabilire condizioni di compatibilità tra modernità e tradizione sulla base di un terreno comune tra architettura, costruzione e arti plastiche. Questa sorta di fusione tra regionalismo e “Forma Aperta” trova nella casa-capanna una sintesi radicale del significato originario di architettura, nel suo essere proiettata nel flusso del tempo fino all’origine stessa del suo significato di “casa dell’uomo” e, in ultima analisi, al suo estremo limite: l’autodissoluzione nel paesaggio primigenio. EN-Oskar and Zofia Hansen's house in the countryside of Szumin (70 km north-east of Warsaw) began as a holiday cabin (1967-68), becoming an all-year residence through a series of additions through the 1990s. The small building reflects the experimentalism that distinguishes the Polish architects and represents the synthesis of their research and beliefs. Their method developed into a working critique of the rigidity of ‘closed forms,’ the axiomatic prototypes of the Modern Movement in contrast with the ‘Open Form’ process. The latter is condensed in the idea that the architectural project represents, through its varieties of scale, a condition of openness that allows modifications introduced by the users over time. The Szumin house, problematically suspended between architecture and the other arts, is the result of a critical reconsideration of the research of the Polish avant-garde as well as an outcome of Oskar Hansen's experiences in the studios of Pierre Jeanneret and Fernand Léger, his participation in the last CIAMs and militancy in Team X. Despite the socio-cultural limitations of Socialist Poland, the work of the Hansens developed in new directions linked to the international environment of architecture and the other plastic arts; theirs was an original and autonomous code. The repercussions of this research in the design of the Szumin house and, before it, in the fluid space of the flat in Sędziowska Street (Warsaw, 1950-55) can provisionally be traced back to the different design fields tackled by the Hansens: the systems of linear neighborhoods linking dwelling and landscape and the manifesto-projects of fittings and interiors developed according to the principle of the ‘Active Negative’: a plastic envelope defined by frames that traces the boundaries of inhabitable space between solids and voids. This abstract dimension of the ‘Open Form’ highlights the difficulty of drawing a clear boundary between architecture and the other arts, between use, form and figuration, between living space and morphological construction. The morphological process of the Szumin house construction raises a further methodological issue, which seems to contradict the basis of the Hansens’ work: the attempt to establish conditions of compatibility between modernism and tradition based on common ground between architecture, construction and the plastic arts. This sort of fusion of regionalism and ‘Open Form’ finds in the hut-house a radical synthesis of the original meaning of architecture, in its being projected in the flow of time to the very origin of its meaning as ‘mankind's home’ and, ultimately, to its extreme limit: self-dissolution in the primeval landscape.

L’interno della forma aperta. Oltre la casa-capanna di Zofia e Oskar Hansen a Szumin

Guido Mario Morpurgo
2025-01-01

Abstract

IT- La casa di Oskar e Zofia Hansen nella campagna di Szumin (70 Km a Nord-Est di Varsavia) viene realizzata dapprima come luogo per le vacanze (1967-68), poi come residenza tramite una serie di integrazioni fino agli anni ‘90. Il piccolo edificio riflette lo sperimentalismo che contraddistingue la coppia di architetti polacchi e rappresenta la sintesi delle loro ricerche e convinzioni che, muovendo da una critica operante alla rigidità delle “forme chiuse” rappresentate dagli assiomatici prototipi del Movimento Moderno, contrappone la processualità della “Forma Aperta”. Quest’ultima si condensa nell’idea che il progetto di architettura rappresenti, tramite le sue declinazioni scalari, una condizione di compiutezza transitoria, metodologicamente estesa nel tempo per integrare modifiche ed estensioni introdotte dagli utilizzatori. La casa di Szumin, problematicamente sospesa tra i territori dell’architettura e delle altre arti, è il risultato di una riconsiderazione critica delle ricerche dell’avanguardia polacca e al contempo l’esito delle esperienze che Oskar Hansen svolse negli studi di Pierre Janneret e Fernand Leger e tramite la partecipazione agli ultimi CIAM e la militanza nel Team X. È su queste basi che il lavoro di Oskar e Zofia Hansen si è sviluppato in nuove direzioni legate all’ambiente internazionale dell’architettura e delle arti plastiche, ma secondo una cifra originale e autonoma, nonostante le limitazioni imposte dal contesto socioculturale della Polonia del Socialismo reale. Le ricadute di queste ricerche nel progetto della casa di Szumin e, prima di essa, nello spazio fluido dell’appartamento di via Sędziowska (Varsavia, 1950-55) si possono provvisoriamente ricondurre ai diversi ambiti progettuali affrontati dagli Hansen: i sistemi di quartieri lineari che legano abitazione e paesaggio, e i progetti- manifesto di allestimenti e interni sviluppati secondo il principio del “Negativo attivo”: involucro plastico definito da telai che tracciano i confini dello spazio abitabile attraverso rapporti articolati tra pieni e vuoti. Questa dimensione astrattiva della “Forma Otwarta” evidenzia la difficoltà di tracciare un confine netto tra l’architettura e le altre arti, tra uso, forma e figurazione, tra spazio abitabile e costruzione morfologica. La processualità morfologica della casa di Szumin pone altresì un ulteriore aspetto di ordine metodologico, che sembra contraddire le prerogative su cui si era basato il lavoro degli Hansen: il tentativo di stabilire condizioni di compatibilità tra modernità e tradizione sulla base di un terreno comune tra architettura, costruzione e arti plastiche. Questa sorta di fusione tra regionalismo e “Forma Aperta” trova nella casa-capanna una sintesi radicale del significato originario di architettura, nel suo essere proiettata nel flusso del tempo fino all’origine stessa del suo significato di “casa dell’uomo” e, in ultima analisi, al suo estremo limite: l’autodissoluzione nel paesaggio primigenio. EN-Oskar and Zofia Hansen's house in the countryside of Szumin (70 km north-east of Warsaw) began as a holiday cabin (1967-68), becoming an all-year residence through a series of additions through the 1990s. The small building reflects the experimentalism that distinguishes the Polish architects and represents the synthesis of their research and beliefs. Their method developed into a working critique of the rigidity of ‘closed forms,’ the axiomatic prototypes of the Modern Movement in contrast with the ‘Open Form’ process. The latter is condensed in the idea that the architectural project represents, through its varieties of scale, a condition of openness that allows modifications introduced by the users over time. The Szumin house, problematically suspended between architecture and the other arts, is the result of a critical reconsideration of the research of the Polish avant-garde as well as an outcome of Oskar Hansen's experiences in the studios of Pierre Jeanneret and Fernand Léger, his participation in the last CIAMs and militancy in Team X. Despite the socio-cultural limitations of Socialist Poland, the work of the Hansens developed in new directions linked to the international environment of architecture and the other plastic arts; theirs was an original and autonomous code. The repercussions of this research in the design of the Szumin house and, before it, in the fluid space of the flat in Sędziowska Street (Warsaw, 1950-55) can provisionally be traced back to the different design fields tackled by the Hansens: the systems of linear neighborhoods linking dwelling and landscape and the manifesto-projects of fittings and interiors developed according to the principle of the ‘Active Negative’: a plastic envelope defined by frames that traces the boundaries of inhabitable space between solids and voids. This abstract dimension of the ‘Open Form’ highlights the difficulty of drawing a clear boundary between architecture and the other arts, between use, form and figuration, between living space and morphological construction. The morphological process of the Szumin house construction raises a further methodological issue, which seems to contradict the basis of the Hansens’ work: the attempt to establish conditions of compatibility between modernism and tradition based on common ground between architecture, construction and the plastic arts. This sort of fusion of regionalism and ‘Open Form’ finds in the hut-house a radical synthesis of the original meaning of architecture, in its being projected in the flow of time to the very origin of its meaning as ‘mankind's home’ and, ultimately, to its extreme limit: self-dissolution in the primeval landscape.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11578/364689
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