Nell’appartamento c’erano due stanze, tutte e due senza mobili. La prima aveva tre sedie e un cuscino posato a terra, l’altra era coperta da uno spesso strato di riso. Chi ne trovava rifugio, supino con la testa posata sul cuscino, si era lasciato morire di fame. Non appena il corpo venne portato via, qualcuno provò a distendersi nella stessa posizione. Disteso sul pavimento, rivolto verso l’altra stanza, quella distesa di riso sembrava un paesaggio innevato, di cui la parete sembrava formare lo sfondo. Il racconto di Tonino Guerra, nel Polverone. Storie per una notte quieta, illustra quanto la miseria abbia la necessità di progettare lo spazio della realtà. L’esperienza di chi attraversava questi spazi era segnata da un’intensità visiva e affettiva che sembra attivarsi solo in presenza di uno sguardo. Lo spazio, apparentemente inerme, reagisce alla qualità dell’attenzione, si accende o si spegne in base alla relazione che instaura con l’osservatore. In questa condizione, la miseria non è solo testimonianza di mancanza, ma diventa strumento progettuale: costruisce scenari dove la realtà viene riscritta a partire da elementi inadeguati, deformi, scartati, reimpiegati in forma nuova. È proprio nell’impossibilità di una risposta razionale o funzionale che emergono immagini di pensiero alternative, capaci di mescolare passato e futuro in un unico piano disarticolato. Come accade nei montaggi critici e nelle regressioni concettuali, la miseria non si limita a negare il linguaggio o l’ordine, ma ne altera la coerenza interna, li fa deviare, li moltiplica, rivelando attraverso il disordine un sintomo nascosto. Così lo spazio, rigenerato dalla sua stessa mancanza, diventa dispositivo di rivelazione.
Il pavimento di neve
Bersani, Giulia
2025-01-01
Abstract
Nell’appartamento c’erano due stanze, tutte e due senza mobili. La prima aveva tre sedie e un cuscino posato a terra, l’altra era coperta da uno spesso strato di riso. Chi ne trovava rifugio, supino con la testa posata sul cuscino, si era lasciato morire di fame. Non appena il corpo venne portato via, qualcuno provò a distendersi nella stessa posizione. Disteso sul pavimento, rivolto verso l’altra stanza, quella distesa di riso sembrava un paesaggio innevato, di cui la parete sembrava formare lo sfondo. Il racconto di Tonino Guerra, nel Polverone. Storie per una notte quieta, illustra quanto la miseria abbia la necessità di progettare lo spazio della realtà. L’esperienza di chi attraversava questi spazi era segnata da un’intensità visiva e affettiva che sembra attivarsi solo in presenza di uno sguardo. Lo spazio, apparentemente inerme, reagisce alla qualità dell’attenzione, si accende o si spegne in base alla relazione che instaura con l’osservatore. In questa condizione, la miseria non è solo testimonianza di mancanza, ma diventa strumento progettuale: costruisce scenari dove la realtà viene riscritta a partire da elementi inadeguati, deformi, scartati, reimpiegati in forma nuova. È proprio nell’impossibilità di una risposta razionale o funzionale che emergono immagini di pensiero alternative, capaci di mescolare passato e futuro in un unico piano disarticolato. Come accade nei montaggi critici e nelle regressioni concettuali, la miseria non si limita a negare il linguaggio o l’ordine, ma ne altera la coerenza interna, li fa deviare, li moltiplica, rivelando attraverso il disordine un sintomo nascosto. Così lo spazio, rigenerato dalla sua stessa mancanza, diventa dispositivo di rivelazione.| File | Dimensione | Formato | |
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