Siamo abituati, formati, educati alla gravità del reale. Per sopportarla e supportarla troviamo ragioni, illusioni, costruiamo fondazioni; ma per scoprirla è bastata un’intuizione fulminea, un tonfo a terra – più verosimilmente una caduta ovattata accolta da un delicato tappeto erboso (come edulcoriamo i tempi passati!) –: la mela è caduta, il dado è tratto. Da allora tutto si misura con una gravità codificata per liberarsi dalla quale dobbiamo abitare architetture e avventure extra-territoriali, siano esse celesti e auspicate, siano esse spaziali e rivendicate, siano esse concrete e privilegiate; ed è per ambire a questa condizione non normata che le teorie decollano posando i loro sguardi sul mondo, alzandosi in cielo senza vincoli, librandosi nella sospensione del giudizio senza alcun appoggio se non le intuizioni che le hanno elaborate. Ciò che è pensile è per definizione ciò che pende, letteralmente «ciò che è sospeso nell’aria»; scomodando i massimi sistemi, per esempio, è «la Terra, corpo pensile e librato sopra ’l suo centro, indifferente al moto ed alla quiete, posto e circondato da un ambiente liquido». Allora come riflettere su ciò che è pensile, e che quindi sfida la gravità (o la in-globa), se non per intuizioni, se non prestando attenzione ai reiterati rumori sordi di una cascata di mele cadenti? Il contributo si costruisce quindi per alcuni brevi pensieri, schegge impazzite di verità svelate quali sono le intuizioni scaturite da un’immagine, per restituire un affresco dissacrante del rapporto architettura-natura all’interno delle selve urbane in cui il selvatico si crede non sia necessariamente definito come elemento vegetale.
Il quotidiano sintetico e altri pensieri per una sfida alla gravità del reale
Andrea Pastorello
2023-01-01
Abstract
Siamo abituati, formati, educati alla gravità del reale. Per sopportarla e supportarla troviamo ragioni, illusioni, costruiamo fondazioni; ma per scoprirla è bastata un’intuizione fulminea, un tonfo a terra – più verosimilmente una caduta ovattata accolta da un delicato tappeto erboso (come edulcoriamo i tempi passati!) –: la mela è caduta, il dado è tratto. Da allora tutto si misura con una gravità codificata per liberarsi dalla quale dobbiamo abitare architetture e avventure extra-territoriali, siano esse celesti e auspicate, siano esse spaziali e rivendicate, siano esse concrete e privilegiate; ed è per ambire a questa condizione non normata che le teorie decollano posando i loro sguardi sul mondo, alzandosi in cielo senza vincoli, librandosi nella sospensione del giudizio senza alcun appoggio se non le intuizioni che le hanno elaborate. Ciò che è pensile è per definizione ciò che pende, letteralmente «ciò che è sospeso nell’aria»; scomodando i massimi sistemi, per esempio, è «la Terra, corpo pensile e librato sopra ’l suo centro, indifferente al moto ed alla quiete, posto e circondato da un ambiente liquido». Allora come riflettere su ciò che è pensile, e che quindi sfida la gravità (o la in-globa), se non per intuizioni, se non prestando attenzione ai reiterati rumori sordi di una cascata di mele cadenti? Il contributo si costruisce quindi per alcuni brevi pensieri, schegge impazzite di verità svelate quali sono le intuizioni scaturite da un’immagine, per restituire un affresco dissacrante del rapporto architettura-natura all’interno delle selve urbane in cui il selvatico si crede non sia necessariamente definito come elemento vegetale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.



